Ultima modifica 20 Aprile 2015
Ho conosciuto Enzo Tortora, era all’apice della sua popolarità quando lo incontrai, in un corso di cucina, tenuto da un famoso oste specializzato, tra l’altro, nei piatti della tradizione ligure. Lui era venuto a parlare della sua conoscenza e del suo amore per i profumi ed i sapori della sua terra. A parlare, disse, poiché tenere una conferenza era dare toppa importanza al suo dire ed alle sue conoscenze di semplice appassionato che continuava, nel tempo, ad approfondire l’argomento.
Ma lui non era un uomo semplice, come un gruppo di noi che, dopo la conferenza, aveva avuto l’opportunità di conversare piacevolmente con lui.
Abbiamo avuto la certezza che fosse un uomo profondamente colto, uno che non si fermava mai alla superficie delle cose, ma tendeva a scendere nel profondo, un uomo curioso di tutto, come si evinceva chiaramente dalle sue domande e dall’interesse mostrato per le nostre risposte, non un interrogatorio, però, piuttosto una conversazione piacevolissima che spaziava su molte sfaccettature della nostra Liguria, spaziando dai gioielli architettonici, agli scrittori o ai cantautori liguri.
Nulla, nelle sue parole, nel suo tono di voce, nel suo atteggiamento faceva pensare alla sua fama, al suo essere un vip, al suo essere un personaggio.
Poco tempo dopo, come un fulmine a ciel sereno, arrivò la notizia del suo arresto, eseguito proprio negli studi televisivi, arresto che suscitò grande clamore, come le motivazioni, come i suoi presunti reati.
Le accuse erano infamenti, così estranee alla persona che si era presentata, così assurde, ma erano accuse provate, così almeno dicevano gli inquirenti, si erano mossi dietro segnalazioni sicure, delazioni certe, documentate, ne avevano tutte le prove. Dichiararono che Tortora si era servito del suo ruolo, della sua notorietà, degli studi televisivi nei quali lavorava.
Erano troppo sicuri di sé, tanto da soffocare ogni titubanza, molte certezze, anche i media sposarono la loro teoria e batterono la grancassa, lo giudicarono colpevole anche prima del processo.
Il p.m. si scatenò, nell’arringa e nelle domande, nella requisitoria usò parole forti, lo accusò con acrimonia inusitata, quasi si trattasse di un fatto personale, come se Tortora fosse il peggiore dei delinquenti.
Nessuno tenne conto delle sue proteste, delle sue controdeduzioni, nessuno verificò le sue asserzioni ne i suoi alibi, e venne condannato e rinchiuso in carcere, ma venne assolto in appello. Dopo che era stato accertato che non era lui il Tortora mafioso, il Tortora spacciatore e consumatore di droga, no era un suo omonimo, un piccolo delinquente, uno scagnozzo, come si usa dire.
Ora, a distanza di anni, il suo primo accusatore, quello che lo aveva, più volte, chiamato mercante di morte, sporco affiliato di mafia e con altri termini più pesanti pronunciati con disprezzo palese, con foga inusitata, con la sicurezza assoluta che l’uomo lo stava accusando fosse la quintessenza di tutti i mali, talmente affamato di denaro e provo di senso morale da usare tutti i mezzi, anche i più ignobili, per raggiungere il suo fini, dico quell’uomo, quel p.m., solo ora, a distanza di anni trascorsi anche della morte di Tortora, solo ora chiede scusa!! E a chi lo chiede?
Ad un uomo che è morto da anni, morto anzitempo, forse proprio a causa di quelle accusa, di quella condanna, forse per quelle parole usate dal p.m. e fatte proprie e divulgate dai media, non era bastata, per l’uomo che era Tortora, la successiva assoluzione, la riabilitazione da parte dei giornalisti, il carcere lo aveva profondamente e definitivamente segnato.
Ora Marmo chiede scusa, ma sembrano scuse di facciata, non si batte il petto e chiede perdono, anzi assicura di aver agito in buona fede, che, forse, anzi indubbiamente, aveva usato termini eccessivi, parole troppo forti e si giustifica dicendo che, forse, si era lasciato prendere dalla foga. Per tutto il processo?
Assicura che da allora, dall’ assoluzione, dalla prova provata dell’innocenza dell’uomo che aveva fatto condannare, si era portato dentro un gran peso. Chiede scusa, ma non parla di rimorso.
Dice ancora, sempre a sua giustificazione, che nel corso delle indagini più si cercavano prove della sua innocenza, più si trovavano quelle della sua colpevolezza, e sembra allargare le braccia in un gesto di impotenza.
Perché solo ora si scusa, perché?Forse perché qualcuno ha scoperto che gli è stato affidato un incarico come curatore di legalità e ha ironizzato sul fatto che proprio a lui…..
E la notizia è stata ripresa da giornali e telegiornali. Forse voleva pararsi il ………, forse voleva difendere il suo punto di vista…..forse………
Troppo facile chiedere scusa a distanza di anni, di così tanti anni e oltretutto non ammettendo altra colpa se non quella di aver usato un tono sopra le righe, di essersi fatto trascinare dalla foga.
Ma perché lo ha usato? Forse perché l’uomo incriminato era celebre? Forse perché sperava in un poco di notorietà che, magari lo aiutasse nella carriera? O, forse, perché, per una volta, era sotto le luci della ribalta?
Quelle scuse, parziali e tardive, non contano nulla, non servono a nessuno.