Ultima modifica 29 Aprile 2019
L’ultimo cerchio di mamme, creato al corso di accompagnamento alla nascita, mi ha fatto riflettere su quanto poco noi donne e mamme, ci riconosciamo delle “competenze” che ci caratterizzano. A poco serve la razionalizzazione, le evidenze scientifiche, i dati certi. Noi donne facciamo fatica, per fortuna non sempre, a riconoscerci il “valore”. E spesso la parola d’ordine è “Non ce la faccio”.
Perché tutto questo? Perché tutti questi “Non ce la faccio“?
Potremmo attribuire delle responsabilità alla società che promuove pensieri di disvalore. Potremmo dire che alcune volte la famiglia di origine e quella attuale non favoriscono nella donna, la possibilità di “sentirsi” completamente.
E continuare per ore a cercare il responsabile di tutto questo, ma ritengo che sia poco funzionale, per cui andiamo avanti.
Resta il fatto che attraverso la maternità, in molte di noi, questi sentimenti svalutanti si amplificano lasciando il posto a dubbi e a resistenze ad accettare le eventuali difficoltà legittimandole con un semplice “non ce la faccio”.
Molte di noi si riconosceranno in questo, altre no, sottolineando ancora di più le molteplici sfaccettature e abilità di adattamento delle donne.
Ma ritorniamo al “non ce la faccio”. Perché facciamo così fatica a dirlo prima a noi stesse e poi eventualmente, a chi ci circonda?
Come risuona nel nostro essere donna, un’affermazione di questo tipo?
Domande aperte che pongo spesso a me stessa e alle storie di donna che incontro.
Domande a cui non esistono risposte prestabilite, ma singole storie ed emozioni che si raccontano attraverso occhi di donne che incrocio e che custodisco gelosamente.
E si continua, attraverso una vita che alcune volte non ci fa sentire “comode”, nutrendosi di deboli rassicurazioni e ascoltando sempre meno i nostri desideri e il “non ce la faccio” diventa ormai un archetipo disfunzionale, che ci accompagna nel nostro diventare madri.
Poi, con tempi e modalità individuali, l’energia del femminile ci richiama, bussa alla nostra porta più forte che mai, ricordandoci la nostra natura e “costringendoci” a sentirci attraverso altre noi ed altre storie.
Ed ecco che finalmente la donna entra nel cerchio, un cerchio caldo e accogliente dove tenersi per mano e raccontarsi. Dove piangere e dare valore alle lacrime, dove sentirsi libera di dire “non ce la faccio” e l’energia finalmente libera di esprimersi, lascia il posto alla consapevolezza di un femminile che crea, ci nutre e respira.
E il riscoprirsi donne non è più un dovere, ma una fisiologica necessità.