Ultima modifica 16 Marzo 2016
Argomento questo a me caro, perché mi coinvolge direttamente con il mio primogenito e il suo ingresso in prima elementare.
Quanta emozione vederlo tra i banchi mentre cerca un suo spazio per riposizionarsi in un nuovo ambiente, e quanta attesa per il rituale dei compiti a casa! E mentre penso a tutto questo, la mente ricorda quando ho incontrato mio figlio per la prima volta.
Adesso invece è lì, con il suo grembiulino, un fiocco forse troppo grande, uno zaino che racconta il suo ingresso nella “scuola dei grandi”, contenitore e contenuto dei fatidici compiti a casa e croce e delizia di noi genitori.
Inutile dirvi le innumerevoli tentazioni di intervento mammesco sulle difficoltà o decisioni “stilistiche” di mio figlio, rispetto alla realizzazione di un disegno o della famigerata paginetta per familiarizzare con la scrittura. Perché è vero che ogni pomeriggio prima di sedermi accanto a lui mi sottopongo a un training di rilassamento e mi regalo autoistruzioni recitate come un mantra, ma la “tentazione di mamma” a dire la mia spesso prende il sopravvento.
Ovviamente i risultati non sono dei migliori e le risposte che accompagnano queste mie interferenze minano la mia autostima da BisMammae allora che fare? Decido di attivare la mia modalità di problem solver e scegliere delle strategie più funzionali per entrambi.
E oltre il training, il mantra sulle autoistruzioni, agisco in maniera più “comportamentale” su me stessa e:
- infilo le mie mani sotto le gambe, per evitare qualsiasi atto motorio “interferente”,
- chiudo la bocca e ascolto attivamente tutti i suoi commenti,
- accolgo le sue difficoltà riconoscendone l’appartenenza ad un bimbo di 6 anni “questi sono i compiti a casa di mio figlio, i miei sono stati già portati a termine parecchi anni fa”,
- e soprattutto agisco fisicamente sulla mia voglia di “fare” utilizzando un sano time out all’occorrenza.
Mi spiego meglio, se il bisogno di intervenire diventa incontrollabile, mi alzo e mi sposto fisicamente dalla stanza fino a quando rientro nella mia promessa di “non intervento”.
I benefici?
Tanti, soprattutto per mio figlio, che vive questo momento come “suo”, dove c’è il rispetto dei tempi (sempre i suoi) e delle sue competenze. E dove la mamma fa da satellite, dispensando strategie solo se richieste.
Ed ecco che i compiti a casa si trasformano in un momento di crescita per entrambi, mamme e figlio, perché si sa, noi genitori non smettiamo mai di imparare. E questo dovremmo ripeterlo a noi stessi, spesso.
Cecilia Gioia di MammacheMamme
Cara Cecilia, hai proprio ragione… il momento dei compiti è un’esperienza nuova e forte sia per i piccoli che per i grandi e spesso diventa lo spazio in cui si innesca un braccio di ferro estenuante per tutti. come dici tu, ci vuole molta pazienza, il rispetto dei tempi del bambino come anche un approccio stimolante (e non punitivo o giudicante) teso a rinforzare il piccolo ad iniziare e ad impegnarsi, magari elogiando e premiando i suoi sforzi (non sempre con riscontri eccellenti in termini di prestazione) e un positivo e costante incentivo all’autonomia, insegnandogli gli strumenti cosiddetti metacognitivi, ovvero di gestione e organizzazione dello studio.
a tal proposito, son stata coinvolta in un progetto che prevede proprio un programma online per aiutare genitori e bambini ad imparare a studiare:
http://bitbumbam.it/project_858
Francesca.
Sottoscrivo! Bel Post!