Ultima modifica 13 Ottobre 2020
Conosco una mamma, una coraggiosa e tenace mamma.
Una mamma che adoro. Siamo cresciute insieme: eravamo prima bambine, poi ragazzine, poi adolescenti, poi giovani rampanti e ora donne e mamme complete.
Una mamma che ha dovuto affrontare dolori, ansie e preoccupazioni.
Come tutte noi mamme, del resto, ma forse con uno spirito di ripresa maggiore, con una forza e una tenacia che non è da tutti.
Questa mamma, non si è sentita da subito mamma, ha, sì, fortemente voluto la sua bambina. Ha sentito crescere dentro di sè la vita, piano piano, ci si è abituata, coccolava la sua pancia, la curava, era piena di sogni e aspettative, come tutte del resto, ma non si è sentita subito “mamma” nel pieno della parola.
E’ arrivato il fatidico momento del parto, vissuto in maniera estenuante, dolorosa e anche pericolosa, soprattutto per la bambina, che non riusciva a trovare la via d’uscita, per dei problemi che al momento non si riuscivano a capire: ci sono state delle lunghe ore di sofferenza per entrambe.
Come Dio ha voluto, tutto è andato per il meglio, finalmente la bimba nasce e tutto fila apparentemente liscio.
Vuoi il parto difficile, vuoi la stanchezza, vuoi i tempi di ripresa fisica lunghi.
Vuoi lo stress, il latte che non arrivava, la bimba che continuava a piangere.
Tra la mamma e figlia non fu affatto amore a prima vista, anzi!
A tutto questo, si aggiunge anche una componente di mobbing sul lavoro non indifferente subita. Una volta annunciata la gravidanza la mamma si è vista soffiata una posizione di prestigio, proprio con la scusante: “tu purtroppo sei incinta e non sarai disponibile per un bel pezzo”, eh sì, certo, scusate tanto, eh!
Quindi più che amore e tenerezza, la mamma era profondamente stanca e incazzata per godersi la sua cucciola appena nata.
E questo mix di sentimenti è rimasto nell’animo della donna, per parecchio, fino a dopo il primo anno di vita della bimba. Fino a quando quella maledettissima mattina la mamma è stata raggiunta da una telefonata concitata del nido dove si trovava la bimba, avvertendola che aveva avuto lì la sua prima crisi epilettica.
La piccola era svenuta, era in preda alle convulsioni e non si riprendeva.
E’ stato quello l’istante in cui lei, la mamma, ha capito l’importanza di quella cucciola per lei, la sua presenza ormai insostituibile, il suo totale e completo amore, rimasto a covare dentro e a crescere, senza riuscire a trovare sfogo.
E infatti, dopo quel giorno, tutto il rancore, la stanchezza, i rimpianti sono svaniti, per la mamma esisteva solo e soltanto la figlia, in maniera avvolgente e universale.
La storia di questa mamma è in divenire: la bimba ora è in cura, sta benone, cresce, è intelligentissima, stupenda, attiva, attenta, solare, giocherellona, chiacchiera e osserva tutto, è simpatica e meravigliosa, come solo i bimbi sanno essere.
Ma c’è sempre un’ombra su di lei, una particolare attenzione, un occhio sempre osservatore per vedere se escono fuori i brutti sintomi, se ci sono momenti di assenza, di mancamento. Perchè l’incubo vissuto non è stato cancellato, e forse non lo si cancellerà mai, è stato buttato in un angolo della memoria, ogni tanto le immagini ritornano vivide e il panico torna su, solo che la mamma, con il sorriso sulle labbra, le rimanda al mittente, perchè lei e la sua piccola sono più forti di qualsiasi tenebra!
Non è facile la convivenza con questa ansia.
Gli attacchi epilettici, chiamiamoli con il loro nome, all’inizio ti gettano nel panico.
Non sai come affrontarli, che cosa puoi fare, cosa non devi fare, a chi rivolgerti.
Ci vuole un po’ prima che imbrocchi la strada giusta e vieni seguito adeguatamente.
Ma, una volta che ci sei dentro, impari anche a conviverci e ad affrontare la situazione, con il sorriso, perchè così deve essere.
L’epilessia non è ben conosciuta dai più e fa paura ma, se ne parliamo, magari riusciamo ad aiutare chi ne sta dentro e a far capire che i nostri bimbi possono vivere la stessa vita degli altri, certo, con qualche accortezza in più, ma non sono certo dei “diversi”.
C’è ignoranza in giro e pregiudizi stupidi.
E non se ne parla.
Addirittura c’è chi si vergogna. Come se fosse una cosa di cui vergognarsi.
Eppure è frequente e ci è vicino più di quanto immaginiamo.
Hai perfettamente ragione. I malati sono quelli che emarginano. Ma la vita è una ruota, prima o poi prenderanno farmaci anche loro. Un abbraccio di cuore a tutti i dottori e a tutte le persone che soffrono di epilessia.