Ultima modifica 24 Agosto 2020
Nei giorni scorsi, è stata sottoposta alla Commissione Lavoro una proposta di legge che istituisce il congedo mestruale, ovvero un’astensione dal lavoro di cui possono godere le donne che soffrono di sintomatologia dolorosa legata alle mestruazioni.
Non si tratterebbe di un permesso, né di giorni da scalere dalle ferie accumulate e nemmeno di un’astensione assimilabile ad un congedo per malattia, dal quale si distinguerebbe in termini di retribuzione e di riconoscimento contributivo.
Io sono una di quelle donne che “quando arrivano, arrivano”, nel senso che, fortunatamente, il ciclo non mi ha mai dato grossi problemi, né prima del suo arrivo, né durante “quei giorni”.
Mi rendo conto, però, di quanto, per chi soffre di problemi che vanno dalla sindrome premestruale, alla dismenorrea fino alla disforia, “quei giorni” siano davvero invalidanti e di quanto essi possano essere incompatibili con l’attività lavorativa.
Dolori addominali, cefalea, dolori articolari, tensione mammaria, problemi di sonno, irritabilità e sbalzi di umore sono solo alcuni dei sintomi che, con gravità variabile, caratterizzano queste condizioni.
Nella proposta di legge, le deputate promotrici parlano della dismenorrea come di un problema che colpisce dal 60 al 90% delle donne, anche se, in genere, le statistiche riportano una percentuale che va dal 5 al 10%.
Sicuramente, questa proposta di legge è da vedere come un tentativo di tutela delle donne sul lavoro e, come tale, va rispettato e non scartato a priori ma, la domanda che mi faccio io è:
Sarebbe poi così utile avere un congedo specifico da usare in caso di problemi legati al ciclo quando, nella pratica, poi non si distingue molto da un comune congedo per malattia?
Certo, la proposta di legge prevede, per il congedo mestruale, un differente trattamento retributivo e contributivo che, forse, potrebbe far davvero comodo a chi, puntualmente, perde 3 giorni di lavoro ogni mese, ma forse, in questo modo, si va a tutelare una goccia in un mare di donne e di lavoratori, in genere, ancora poco tutelati.
Pensiamoci, di quella percentuale di donne che soffre di questi disturbi, quante hanno un lavoro che prevede il diritto ad un qualsiasi tipo di congedo per malattia? E ancora, di tutte queste donne, pur titolari di un contratto di lavoro dipendente e “stabile”, quante, poi, alla fine, vanno a lavorare anche con la febbre, la nausea e, quindi, anche col ciclo incattivito perché il personale è ridotto all’osso o perché temono ritorsioni?
Forse sarebbe meglio, prima, lavorare sulla garanzia dei diritti che molti già hanno ma di cui, nella pratica, pochi riescono a godere, prima di inventarsi delle chicche del genere. No?
Altra questione: quante sono le patologie croniche ed invalidanti di cui un soggetto può soffrire?
Che facciamo, ci sbizzarriamo nel creare un tipo specifico di congedo per ognuna?
La licantropia, per esempio, ha il suo apice ogni 28 giorni, circa, proprio come il ciclo mestruale. Io avevo un collega, maschio, che ne soffriva, anche se qualcuno lo definiva solo lunatico, e vi garantisco che, in “quei giorni” aveva bisogno della museruola!
Io, poi, soffro di gravidanza isterica: nella fase ovulatoria, ho l’istinto di scavare il nido e di allattare i Cicciobello di mia figlia, che faccio, una proposta di legge?
Scherzi a parte, ci sono molte persone che, dietro certificato medico, che attesta una particolare patologia, vengono dispensati dal lavoro e credo che, per i problemi legati al ciclo mestruale valga e possa continuare a valere la stessa prassi se non vogliamo, ancora una volta, essere considerate il sesso debole.
Siamo diversi, sì e, per me, parità non significa uguaglianza in tutto, se no saremmo un popolo di asessuati sterili.
Le donne hanno il ciclo, portano avanti gravidanze e allattano il loro bimbo quando nasce e, per questo, devono essere tutelate pur avendo, comunque, il diritto di lavorare senza essere viste come un limite alla produttività.
Naturalmente, però, mentre la gravidanza ed il post parto sono periodi tutelati da con diritti specifici, vista la loro eccezionalità, la ricorrenza dei problemi legati al ciclo, può essere gestita in modo più “ordinario”, ricorrendo, appunto, ai permessi per malattia, senza scomodare il congedo mestruale.
Anche gli uomini possono avere patologie più direttamente correlate al loro sesso: da quelle fisiche, come i problemi legati alla prostata, per esempio, a quelle cognitive e allora cosa facciamo?
Quando devono fare tre cose insieme e vanno in tilt, per farli riprendere, concediamo loro 10 minuti di schiaffeggiamento terapeutico finanziati dall’INPS?
Quello che voglio dire è che sono già diverse le (bellissime) evenienze che rendono noi donne“temporaneamente inabili” al lavoro e per le quali, ancora, purtroppo, veniamo guardate storto da colleghi maschi e datori di lavoro.
Non aggiungiamone un’altra.
Lasciamo i problemi legati al ciclo, nel limbo aspecifico dei motivi per cui chiedere un congedo per malattia a fronte di una patologia certificata, se non vogliamo che, al colloquio di assunzione, oltre alle solite domande “Ha marito?” “Ha figli?” ci chiedano anche: “Problemi in quei giorni?”.
Anche se gli intenti di chi ha proposto il congedo mestruale sono, di sicuro, nobili, forse, prima di pensare ai merletti, si dovrebbero rammendare le gonne su cui cucirli.
Insomma, con molta umiltà, dico che, forse, i deputati potrebbero usare la fantasia per fare delle proposte di legge un po’ più utili, a meno che, in fondo in fondo, dietro all’idea del congedo mestruale non ci fosse il nobile tentativo di favorire l’assunzione delle over 55!
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