Ultima modifica 10 Ottobre 2019
Quando abbiamo deciso di spostarci in Cina con due bimbi piccoli, non abbiamo messo in conto di quanto possa essere difficile mantenere le proprie tradizioni italiane in un paese così diverso.
La Cina è uno stato dichiaratamente ateo nel quale la maggioranza delle persone non segue una specifica religione. Il Buddismo è il credo più diffuso, con una percentuale del 16%. La percentuale di cristiani è appena del 2.53%.
Non ci sono pertanto chiese ovunque, campane che suonano a festa, capannelli di persone sul sagrato la domenica dopo messa. L’ora di religione a scuola non esiste e il catechismo nemmeno. E, se la famiglia vuole continuare a dare un’educazione religiosa ai figli, deve fare uno sforzo maggiore rispetto a quello che sarebbe in Italia. Dove, volenti o nolenti, la religiosità è insita in ogni aspetto della vita e tutti la vedono, tutti ne parlano.
Suzhou è una grande città, abitata anche da molte migliaia di stranieri, e per questo sono sorte alcune chiese nelle quali la messa è detta anche in inglese. Il catechismo è organizzato dai genitori, che si ritrovano qualche ora prima della funzione per insegnare ai bambini i fondamenti della religione. Una cosa, quindi, che parte dalle famiglie.
Le nostre “feste comandate” qui in Cina non esistono: Pasqua e Natale sono periodi lavorativi e, sebbene nei centri commerciali si trovino decorazioni a tema, lo spirito profondo e il significato di queste celebrazioni è del tutto sconosciuto ai cinesi. Come dopotutto sono sconosciute in Italia le feste tradizionali cinesi, basate sul calendario lunare e su miti e leggende del passato.
Ma se conservare il sentimeno cristiano nei figli può essere fattibile, anche se con maggior sforzo, le piccole tradizioni rischiano di andar perse.
Nel paese italiano da dove veniamo, come del resto in tutta Italia, ci sono moltissime ricorrenze legate al culto dei santi, ai ritmi della campagna o anche feste pagane che negli anni sono state rivisitate in chiave religiosa. Festeggiamo il solstizio d’estate e la nascita di San Giovanni, raccogliendo a mazzetto delle speciali erbe che, appese al portone di casa, ci proteggeranno dalla negatività. Celebriamo l’arrivo dell’autunno, mangiando le castagne arrostite sul fuoco e bevendo il mosto di vino. All’inizio di dicembre arriva San Nicolò a portare dolci e regali ai bambini, mentre la vigilia dell’Epifania si accendono grandi falò: la direzione presa dalle scintille permetterà ai vecchi del paese di predire l’andamento dell’anno futuro.
Gran parte delle volte, noi non siamo in Italia durante queste celebrazioni.
Siamo immersi in un ambiente totalmente diverso e spesso, se non ho sotto mano un calendario italiano con il nome dei santi, la ricorrenza finisce nel dimenticatoio.
Ma anche quando me ne ricordo, per me è davvero difficile cercare di ricreare l’atmosfera della festa nella nostra casa in Cina.
Come faccio a spiegare ai miei figli il profumo delle vie del paese in novembre, quando nelle case si iniziano ad accendere i primi fuochi e il mosto inizia a maturare nelle botti?
Come faccio a spiegare la meraviglia del trovare un piattino di dolci, la mattina del 6 dicembre?
E riusciranno, le parole, a dare l’idea della magnificenza e del calore dei grandi fuochi di gennaio? No.
Le tradizioni vanno vissute, non si possono spiegare. Ricrearle qui ha qualcosa di stonato, di falso.
Alle volte me ne dispiaccio.
Ma poi penso che i miei figli avranno ricordi della loro infanzia diversi, rispetto a quelli che avevo io, ma non per questo meno belli.
Avranno le loro speciali tradizioni e ricorrenze, che saranno magiche anche se straniere. E avranno sempre quelle familiari, uniche e speciali, che scalderanno il loro cuore.