Ultima modifica 21 Aprile 2021
Non sono proprio capace di fare la maestrina.
Sarà che mi porto ancora dietro il piercing al naso e i tatuaggi dei miei sedici anni (e i capelli verdi dei trentasei), ma neanche a scuola mi prendono sul serio.
Mi danno del lei (e quanto brucia ogni volta!). Non si fanno problemi a rispondere alle mie domande, neanche quando, dopo essermi presentata, chiedo loro: ma chi è che mi dice cosa vuol dire essere gay?
Ebbene sì, oggi parliamo di definizioni.
Perché così iniziamo ad avere una lingua comune e nelle prossime settimane avremo meno problemi a capirci, ma soprattutto perché le parole sono importanti, ed è importante usarle nel modo giusto. Cosa che, molto spesso, neanche i giornalisti fanno.
E però se non avete una zia lesbica, un amico gay, una collega transgender o un vicino di casa bisessuale, finite per fidarvi di quello che leggete sui giornali o sentite in TV.
Anche perché, ammettiamolo: le associazioni LGBT (o LGBTQIA, addirittura), ce le fanno vedere solo nel periodo dei Pride, e magari neanche in quello – e poi, cosa diavolo vorrà mai dire LGBTQIA?
Per rendere un po’ meno noiosa la lezione, ho deciso di chiedere aiuto a un gruppo di amiche, Mariagloria, Giulia e Martina, che si sono inventate una guida illustrata proprio per spiegare queste cose.
Ecco, non è che le cose siano molto più chiare.
Alcune lettere della sigla hanno a che fare con le persone di cui ci si innamora, o verso cui si prova (o non si prova) attrazione. Per usare le parole giuste, con l’orientamento sessuale. E allora un uomo gay si innamora e prova attrazione per altri uomini, una donna gay (o lesbica, che dir si voglia), si innamora e prova attrazione per altre donne.
Una persona bisessuale può innamorarsi di chiunque e una persona asessuale non prova attrazione per nessuno.
Vi ricordate la prima volta che vi siete innamorate?
La volta in cui avete sentito il cuore nello stomaco, quella in cui avete desiderato fortissimo che lui vi prendesse per mano o vi baciasse.
Ecco, quello è il momento in cui avete capito di essere eterosessuali.
Non me ne vogliano le mamme lesbiche (ma sono sicura che avete capito che sto cercando di evitare che vi chiedano per l’ennesima volta quando avete capito di esserlo)!
Altre lettere della sigla hanno a che fare con l’identità di genere, che è un altro concetto non proprio facilissimo.
Provo a spiegarvelo senza fare la maestrina.
Quando nasciamo (anzi, ormai ancora prima della nascita), il medico comunica ai nostri genitori se siamo maschi o femmine, in base all’aspetto dei nostri organi genitali o ai nostri cromosomi.
Non è sempre così semplice, però: e alcune persone, cosiddette intersessuali, sono maschi e femmine insieme, se ragioniamo in bianco e nero (o in azzurro e rosa).
Altre persone ancora, invece, sono femmine anche se il medico ha detto che sono maschi, o maschi anche se il medico ha detto che sono femmine.
Sono le persone transgender.
Quando parlano di loro, spesso i giornalisti fanno un gran casino con i pronomi, ma vi svelo un trucco semplicissimo: se ne avete la possibilità, chiedete alla persona con quale pronome preferisce ci si riferisca a lei – altrimenti usate i pronomi femminili se è donna e quelli maschili se è uomo. Sì, è facile così.
L’orientamento sessuale e l’identità di genere, quindi, sono due cose ben diverse.
Una ha a che fare, appunto, con chi ci fa battere il cuore, l’altra, invece, con il modo in cui ci identifichiamo.
Per cui una persona transgender (a proposito, lo sapete che il contrario di transgender è cisgender, e che questa parola è appena stata inserita nell’Oxford Dictionary of English?) può avere un orientamento eterosessuale, omosessuale, bisessuale, asessuale…
La “Q” è un’altra storia ancora, che ha a che fare con l’utilizzo o meno delle etichette; e ci sarebbero ancora altre lettere, altre identità, ma facciamo che per oggi ci limitiamo alle basi. Tutto chiaro?
La guida illustrata la trovate qui (e la potete anche ordinare, se ne volete una copia – magari da sfogliare insieme ai vostri figli e alle vostre figlie).