Ultima modifica 20 Giugno 2019
Il primo giorno di Università mi sono svegliata presto per prendere il pullman come avevo fatto ogni mattina per cinque anni.
Solo che stavolta non dovevo aspettarlo alla solita fermata, quella vicino a quel bar.
Stavolta dovevo aspettarlo sul lato opposto della strada.
Perché il pullman sarebbe arrivato dalla direzione verso cui l’anno scorso andavo tutte le mattine, per portarmi in quella opposta.
Mentre ero li ad aspettarlo ho abbassato gli occhi sul telefono e ho aggiunto una nota sul calendario:
“Apparentemente cambi solo il marciapiede su cui aspetti l’autobus.
In realtà cambia tutto”
L’avevo capito già lì. La mattina del primo giorno. Quando l’Università l’avevo vista solo in occasione dei test d’accesso e durante l’orientamento alle superiori.
L’avevo capito già lì che sarebbe cambiato tutto. Ma, in fondo, era evidente.
In fondo, non avevano fatto altro che ripetercelo per tutto il quinto anno:
“Qui avete ancora a che fare con persone che si interessano a voi, al vostro futuro. Una volta fuori da qui ve la dovrete vedere da soli. All’Università non sarete che un numero. Chi si interesserà a voi?”
Queste frasi risuonano ogni anno da dietro le cattedre di qualsiasi quinta, di qualsiasi istituto.
“Chi si interesserà a voi? Chi se non voi stessi?”
Il primo cambiamento che avviene nel passaggio dall’essere un liceale all’essere una matricola – quello più grande, quello che per prima ti salta agli occhi, quello che non puoi fare proprio a meno di notare – è l’aumento di responsabilità verso il tuo futuro.
Se al liceo lo “studiare” era generalmente qualcosa finalizzato a “prendere almeno la sufficienza a tutte le materie per non perdere l’anno”, adesso, all’università è qualcosa che hai deciso tu.
Anche se la “scuola dell’obbligo” finisce formalmente al compimento dei sedici anni, in realtà è solo all’Università che lo studio diventa davvero una “scelta”.
Qualcosa che hai scelto tu.
Qualcosa che fai per te, per il tuo futuro.
E non per “prendere almeno la sufficienza a tutte le materie per non perdere l’anno”.
La facoltà che si sceglie dovrebbe rispecchiare i propri interessi, le proprie aspirazioni.
Ciò che ci piace fare, ciò per cui si è portati.
Dovrebbe essere quella che, sfogliando il “catalogo” dell’offerta formativa dell’Università, ci è parsa come la strada migliore per raggiungere i propri sogni.
Questa è la differenza tra l’essere un liceale e l’essere una matricola: l’aver fatto una scelta per il proprio futuro, con le idee più chiare di quelle che si avevano in terza media, quando si era di fronte al dilemma di quale liceo scegliere.
Troppo presto, forse.
E troppe idee confuse a quell’età per poter prendere una decisione così importante, per poter scegliere che cosa ci interesserà per i prossimi cinque anni.
Troppe scelte fatte male a causa di questo.
Ma a cui, all’università, si può rimediare, scegliendo il percorso giusto.
All’università ti accorgi che anche l’amicizia diventa una scelta.
Se alle superiori era un elenco sul registro a stabilire che quelle persone facevano parte di una classe, di un “gruppo”, all’Università non ci sono “classi”, “gruppi”, già stabiliti.
Ci sono solo corsi frequentati da persone che spesso, pur seguendo lo stesso percorso, pur inseguendo la stessa meta, si ignorano, non sanno nulla l’uno dell’altro.
Un mucchio di facce senza nome.
Cosi diventa una scelta anche il dare un nome a quelle facce, il condividere con loro quel comune percorso, il creare un “gruppo” per inseguire insieme la stessa meta.
All’Università anche il frequentare è in un certo senso una scelta, in quanto non vi è nessun professore ad accorgersi del tuo posto vuoto o a dirti “non fare più assenze, lo dico per te”.
Scelte, scelte, scelte.
Ma stavolta non costituiscono un dramma.
Stavolta ci rendono più responsabili, più maturi.
Sono queste il vero “esame di maturità”.
Le superiori e l’università appaiono, quindi, due mondi completamente diversi per chi ne ha appena lasciato uno ed è da poco entrato a far parte dell’altro.
Solo una volta li ho visti toccarsi.
E’ stato mentre camminavo per i corridoi dell’università e ho incrociato un gruppo di ragazzi delle superiori, inconfondibili per i zainetti rossi che danno all’Orientamento e per gli occhi che scrutavano tutto, ogni porta, ogni scala.
Mi sono rivista anch’io lì in mezzo, come un anno fa, con lo zainetto rosso dell’Orientamento e gli occhi persi in chissà quale progetto.
Miriam Santimone