Ultima modifica 27 Luglio 2020
Oggi vorrei parlare, come detto nell’articolo precedente, di un argomento tosto e non approfondito come si dovrebbe nel mondo adottivo e non: quello dei Disordini da Esposizione Fetale ad Alcol e/o Droghe.
Innanzi tutto cosa si intende per DEFAD.
Come viene spiegato in maniera più esaustiva sul sito dell’associazione (Associazione Italiana Disordini da Esposizione Fetale ad Alcol e/o Droghe) la DEFAD è quell’insieme di danni al feto causati all’assunzione di Alcol e droghe durante la gravidanza e l’allattamento.
Danni che possono causare una serie di disturbi e che permangono per l’intero corso della
vita.
I danni possono presentarsi sotto forma di Sindrome Feto-Alcolica (FAS) quando cioè la sindrome si presenta nella sua pienezza ed è caratterizzata da segni ben precisi come un ritardo nella crescita prenatale e/o postnatale, danni del SNC (alterazioni neurologiche, ritardo nello sviluppo mentale con deficit intellettivi e comportamentali) e malformazioni craniofacciali caratteristiche insieme ad altre malformazioni congenite di alcuni apparati del corpo.
Ma si possono presentare anche, e ben più frequentemente, come Disordini dello Sviluppo Neurologico Alcol-Correlati (ARND O DSNA). Con questo termine, si è soliti descrivere i danni causati dall’esposizione all’alcol in utero a livello neurocomportamentale e/o cognitivo, con o senza anomalie strutturali a livello del sistema nervoso centrale.
Qualche dato per capire l’impatto che questa sindrome ha a livello mondiale.
Studi recenti hanno stimato che esistano nel mondo 1,46 casi di FAS ogni 1.000 persone, corrispondenti a circa 119.000 bambini nati con FAS ogni anno.
L’Italia ha una prevalenza di FAS dell’8,2‰, stima che varia tra il 4,2 e il 13,5 su
1000 (Popova et al, 2017) ma le difficoltà legate alla rilevazione dei consumi di alcol e stupefacenti nelle donne, alla diagnosi e ai pochi e imprecisi studi sperimentali sull’organismo umano, rende difficile avere dati certi sugli effetti dose-risposta. Tuttavia, secondo alcuni studi, il 4,3% dei bambini nati da donne incinta che bevono una media di due o più drink al giorno, o da cinque a sei drink alla volta anche saltuariamente, si manifesta una FAS completa. Mentre circa 1 caso ogni 23 gestanti forti consumatrici
(Abel, 1995) presentano la sindrome nella sua forma più evidente.
Secondo altre rilevazioni sembra che anche il consumo di dosi alte e ripetitive di alcol dia un 6-10% di probabilità che il feto sviluppi la FAS completa, mentre con dosi più basse c’è il rischio che si manifestino effetti parziali (Ornoy & Ergaz, 2010).
Nascere con questa sindrome comporta che queste persone, una volta diventati adolescenti e adulti, possano presentare nel corso della vita diverse disabilità secondarie.
Parliamo di problemi di salute mentale e tutto ciò che comporta, ad esempio la mancanza di vita autonoma, problemi con il lavoro, un’esperienza scolastica fallimentare e, legati a questi, si possono presentare problemi con la legge, isolamento sociale, un comportamento sessuale inappropriato e problemi di dipendenza da droga e/o alcol.
Perché è importante che questo argomento venga approfondito nel mondo adottivo viene da sé.
Sempre più spesso i bambini che arrivano in adozione, sia nazionale che in internazionale, hanno alle spalle situazioni di vita difficili dove è facile immaginare che il vissuto dei genitori biologici possa non essere scevro dal consumo di sostanze tossiche, sia esso alcool o droghe, per cui si presuppone che la possibilità di presenza questo tipo di conseguenze nei bambini non è improbabile.
Tuttavia ad oggi la diagnosi corretta viene fatta raramente a causa di una molteplicità di fattori.
Il primo motivo è puramente “politico” nel senso che le varie linee guida sull’argomento sono varie e frazionate e l’OMS non le riconosce.
Solo la FAS viene riconosciuta come malattia rara mentre non vengono riconosciuti tutti i disturbi legati allo spettro della FASD e cioè gli ARDN, ARBD E pFAS che invece
sono presenti nella popolazione in maniera preponderante rispetto alla FAS vera e propria, che rappresenta solo un 10% delle manifestazioni dell’esposizione prenatale all’alcol.
Secondo motivo è un’ignoranza letterale del problema.
Spesso, sia in ambiente medico che in ambiente giurisprudenziale, non si conoscono i disordini dello spettro feto alcolico per quello che sono; questo porta in ambiente medico a fare diagnosi imprecise con indirizzi a percorsi non adeguati ed in ambiente giurisprudenziale a scambiare atteggiamenti legati alla sindrome come a “difetti comportamentali e devianze sociali” con conseguenze a livello legale spesso molto pesanti.
Il terzo ma non ultimo motivo, prettamente legato all’ambiente adottivo, è di tipo economico. Si presenta come una… chiamiamola prudenza/leggerezza da parte degli addetti del mondo adottivo nel passare l’informazione sul disturbo per il timore di spaventare le coppie che intendono avviare una procedura di adozione.
Non si riporta l’informazione relativa al problema per timore di un ulteriore calo delle adozioni ambito già molto in crisi dato il già evidente calo provocato da procedimenti lunghissimi, costi eccessivi, aumento dell’età dei bambini in abbinamento e adesso, la pandemia.
Ma ricevere una diagnosi di Disordini dello Sviluppo Neurologico Alcol-Correlati non è
una condanna come può sembrare ma l’acquisizione di una nuova consapevolezza e
soprattutto di nuovi strumenti e strategie da utilizzare per accompagnare questi figli.
Per questa ragione, dopo un occhio sulla realtà nuda e cruda, la prossima volta approfondiremo l’argomento dal punto di vista umano e soprattutto pratico con Claudio Diaz, presidente dell’Associazione AIDEFAD per capirci ancora meglio.