Ultima modifica 17 Giugno 2023
Parlando di classificazione chiedo, a fine quarta “Vi ricordate il lavoro in prima con i tappi verdi?”. Vago, buttato là.
A 45 anni è un po’ come rivivere il momento dell’esposizione dei risultati alla maturità.
Tre anni e mezzo di distanza da un’attività sicuramente significativa, ma se lo ricordano, riutilizzandola per comprendere concetti più complessi.
Anche dopo 18 anni di scuola, certe cose stupiscono. Nel momento in cui è accade dici, attenzionando la mimica facciale
con il monotòno con cui detti tremilanovecentovirgolaquattropertrentanove, “Ecco, quel lavoro è proprio ciò che ci serve per arrivare un passo più su… andiamo avanti“.
Ci sono momenti in cui il mondo gira per il verso giusto e tu sei veramente convinta di aver fatto la cosa giusta.
Ci sono momenti che no.
Stamattina li guardavo con occhi diversi: sì, gli occhi di chi a volte “indovina” la strada e a volte no.
Il fatto che i tuoi momenti di gloria, in fondo, li veda solo tu, non è un problema.
Probabilmente mi basta la loro comprensione, il loro lento avanzare nella difficoltà, le loro scintille negli occhi.
Il problema enorme è quando sbagliamo.
Perché si sbaglia…eh se si sbaglia!
Si sbaglia metodo, si sbaglia approccio, si sbagliano le parole, si sbagliano i momenti.
Però mai si sbaglia a spingere al pensiero autonomo.
Già pensiero, così, in purezza, è un parolone.
Pensiero.
L’ autonomia è la caratteristica adulta delle idee che si formano in modo critico, lontano da luoghi comuni, mescolando le proprie esperienze, le proprie convinzioni, il grado di cultura interiorizzato (che spesso, vuoi o non vuoi fa la differenza, perché permette di confrontare eventi e accadimenti).
Lo sviluppo dell’ autonomia di pensiero dipende, infine, dall’incontro con persone che ne permettono l’espressione o che la censurano.
Vi siete mai soffermati su questa parola così intensa, che non è sinonimo di intelligenza, ma di vita interiore?
Sentire il pensiero di un altro è impossibile.
A volte immaginabile, ma impossibile da definire nei suoi giri a chiocciola, nei suoi lunghi rettilinei che all’improvviso sterzano. Deviati da chi sta intorno a noi, dagli eventi, da chi ci vuole bene, da chi ci consiglia, ma non ce ne frega niente e andiamo per la nostra strada.
Dove voglio arrivare?All’insegnante di Palermo perché…
Quale insegnante non è stato colpito da questa vicenda?
La domanda che ci facciamo tutti è: si può vigilare su un pensiero?
La domanda successiva: si può vigilare sui prodotti di tale pensiero?
E poi c’è l’ultima: in che misura si può vigilare sui pensieri altrui?
Da insegnante vorrei capire, perché mi trovo in difficoltà.
Le è stata imputata una culpa in vigilando che io, fino a tale fatto, consideravo riferita all’incolumità fisica.
Per il resto, cioè per i danni che posso fare da insegnante nel correggere comportamenti scorretti, il mio limite è l’articolo 571 del codice penale che riguarda l’abuso di mezzi di correzione.
In questo caso si parla di atti fisici e verbali che impongono in modo illegale e incivile il mio pensiero di insegnante e non c’è giustificazione che mi salvi.
Io fino ad ora conoscevo i miei limiti come insegnante: ora non più.
Non sono mai stata una grande ribelle, ma mi riconosco la cocciutaggine nel seguire una strada nonostante tutto.
Nessuno riesce a farmi sganciare da un’idea se la reputo giusta.
Giusto ha per me il limite etico del rispetto degli altri e del loro pensiero.
Giusto è accogliere le idee e provare a far conoscere le mie.
Lo faccio con mia figlia e lo faccio con i miei piccoli studenti.
Spesso in quinta tratto argomenti che scottano e le loro idee non vanno sottovalutate, perché dal modo in cui le accogli dipende la loro visione del confronto.
Spesso mi sono tornate a scuola idee particolari che ovviamente vengono da contesti familiari che io non posso contestare per principio, ma solo concederne l’espressione.
Si sono intavolate discussioni in cui i bambini stessi hanno tratto conclusioni personali che io non posso correggere, nel bene e nel male, a meno che non venga offeso qualcuno e a meno che non si utilizzi un linguaggio consono.
Anche in quel caso, non entro nel merito del contenuto, ma nel modo.
Abbiamo spesso visto video di sedute alla Camera dei deputati in cui è possibile esprimere la propria opinione, pur non condivisibile. Abbiamo spesso commentato scontri anche fisici in Parlamento e nelle giunte comunali o regionali, “purtroppo” passati nei tg .
Pur non volendo parlare di questioni poco edificanti in netto contrasto con i valori umani universalmente condivisibili di rispetto per le opinioni altrui, a scuola esce.
E secondo me è in quel contesto che si impara ad esprimere il proprio essere uomo e umano in diversa misura.
Un insegnante si trova nella posizione di accoglienza e crea un clima in cui ci si possa esprimere nel rispetto dell’altro.
La discussione è uno dei cardini della crescita personale.
Nessun insegnante può sapere a priori quali idee gravitino intorno ad un pensiero, prima che siano espresse. Oggi come oggi sappiamo quanto le forme dell’espressione abbiano assunto dimensioni incontrollate ed incontrollabili.
Chi ha decontestualizzato ed esposto il video non ha considerato la pluralità dei messaggi che (posso immaginare, perché poi in certe situazioni esce sempre un’immagine parziale) probabilmente sono usciti dalle attività proposte. Credo ci sia stato un errore di valutazione della professionalità docente. O almeno quella che io conosco.
Sono sempre più convinta che ciò che accade in una scuola, forse ultimo baluardo di cultura vera e profonda e scambio corretto di idee, non lo sa nessuno.
Pericoloso immaginarlo e considerarlo a compartimenti stagni.
La scuola è un fluire del pensiero.
Gli insegnanti non sono e non vogliono essere dighe ma solo argini che possono sopportare anche alluvioni.
Ma sanno poi come tornare a far scorrere l’acqua, sempre che gli venga accordata fiducia.
Forse si dovrebbe tornare a non aver paura delle idee e del loro fluire.
Questo per tornare a dare più forza e fiducia a chi cresce con grande impegno i nuovi cittadini, in un mondo fin troppo complesso, con l’obiettività di chi riesce a guardare oltre il proprio orto-pensiero.