Ultima modifica 24 Agosto 2020
Nonostante avessimo scritto proprio alcuni giorni fa di come le donne lavoratrici siano una risorsa importante per le aziende, per il Pil e per gli stati, purtroppo in Italia sono ancora moltissime coloro che lasciano il lavoro a causa dell’inconciliabilità tra questo e la famiglia.
Donne lavoratrici che mollano. In Italia i numeri sono ancora troppo alti.
Le ex Direzioni territoriali del lavoro hanno diffuso un rapporto nel quale si rileva che durante il 2016 le dimissioni e le risoluzioni consensuali di lavoro sono state oltre 37 mila. Con un incremento del 12% rispetto all’anno precedente.
Di queste 37 mila risoluzioni di lavoro, ben 27 mila hanno riguardato le donne lavoratrici madri.
Dal rapporto è risultata chiara la correlazione tra cessazione del rapporto di lavoro in presenza di figli e limitata anzianità di servizio del dipendente interessato.
La fascia d’età maggiormente colpita da questo fenomeno è stata quella delle donne lavoratrici tra i 26 e i 35 anni.
Quelle donne cioè che al contrario dovrebbero essere nel pieno della loro maturità professionale.
Tra le ragioni di questa fuga di madri dal posto di lavoro ci sono le più ovvie: assenza di parenti di supporto, mancato accoglimento al nido, elevata incidenza dei costi di assistenza del neonato.
Un altro importantissimo dato che emerge è la mancata concessione del part time/orario flessibile/modifica turni di lavoro, e una organizzazione e condizioni di lavoro particolarmente gravose o difficilmente conciliabili con esigenze di cura della prole
Fin qui abbiamo semplicemente pubblicato dati impersonali e statistici.
È un argomento trito e ritrito, ne abbiamo parlato spesso anche noi, e nelle chiacchiere tra amiche sfido chiunque a non aver aperto almeno una volta a settimana il tema.
Ma io credo che la riflessione su questi ultimi dati sia sempre un obbligo.
Le donne lavoratrici, messe alle strette dalle necessità familiari, e in mancanza di una rete di supporto valida che consenta loro di lavorare, si dimettono.
A volte, ancor peggio (ve lo assicuro per esperienza personale, ndr), vengono costrette a dimettersi o vengono licenziate.
Vengono costrette da una serie di fattori.
Come si evince dal rapporto.
I nonni sono lontani, o magari sono vecchietti, visto che noi donne abbiamo voluto figli in età più matura.
L’asilo nido c’è. Ma si entra in graduatoria che neanche in un concorso a insegnante. Bisogna dimostrare di avere redditi bassissimi, e non avere nessuno come la piccola fiammiferaia, e lavorare dall’altro lato del globo.
E pensare che a noi donne ci hanno sempre chiamato multitasking. Che secondo questa teoria riusciremmo a gestire un’azienda, piccola o grande che sia, nel miglior modo e in un tempo ridotto rispetto agli uomini.
Ma evidentemente non tutti la pensano così. E non tutte riescono. Anzi, tutte queste foto di mamme felici divise tra lavoro e famiglia non rendono giustizia.
Forse strette dalla stanchezza di sapere che dopo otto ore passate in ufficio ti tocca organizzare la presa al volo dei figli al calcio, e poi fare un pit stop di meno di 29 minuti al supermercato. E poi arrivare a casa e in circa 15 minuti svuotare le buste e i borsoni dello sport, mettere la divisa da calcio e l’accappatoio bagnato in lavatrice, accendere i fornelli e apparecchiare.
E sentire pure tuo marito dire: “Mi piacevi di più con i capelli sciolti, senza quell’elastico sulla testa che te li tiene in un codino scombinato”.
Si, lo so, non è sempre così. Molte donne lavoratrici godono di un marito presente che condivide con loro le incombenze domestiche e dei figli. E riescono anche ad avere i nonni vicini e performanti. Ma le statistiche continuano a dire che la cura della casa è comunque in modo maggiore gravante sulla donna.
Forse semplicemente perché appunto questa rete del welfare italiana non ti consente di avere un aiuto costante nei primi anni di vita del figlio. Che si sa sono quelli che assorbono il maggior impegno delle madri.
Certo, se a noi donne consentissero un paio di anni di part-time per legge dopo il parto, se avessimo tutte per legge un aiuto in casa e asili e strutture per l’infanzia accoglienti, di qualità e quantità giuste, credo che noi donne lavoratrici, e mamme, non lasceremmo tanto facilmente il nostro lavoro.
O lo faremmo solo se davvero spinte da una volontà e non da una necessità.
E queste 27 mila donne lavoratrici sarebbero ancora lì a godersi lavoro e famiglia felici di non aver dovuto scegliere.