Ultima modifica 20 Giugno 2019
Questa volta nessun articolo mi ha ispirato, ma solo una chiacchierata tra colleghe. Capita spesso di scambiarsi due battute su i bambini e su come comportarsi e di trovarsi anche piuttosto in accorso, ma stavolta la discussione si è infervorata perché, notoriamente, le maestre ci mettono il cuore.
Cambierò un po’ la storia e mischierò un po’ le carte per evitare che i protagonisti si riconoscano.
Parlo di qualche anno fa, o forse di ieri, ma i riferimenti temporali non hanno importanza.
Lui è un bambino piccolino e con gli occhiali. E’ vivacissimo e non sta un minuto fermo. Ronza in classe come un’ape impazzita, ma è dolce, molto dolce anche se a volte non sembra e con quella vocetta un po’ stridula talvolta si avvicina spaccando i timpani, già gravati dal chiacchiericcio generale. Lo riprendiamo spesso ma che vuoi fare … scioglie il cuore. Non riesco ad essere severa e nemmeno a dare punizioni,perché talvolta ho l’impressione che solo il fatto di essere adulto sia un abuso di potere.
Roberto … chiamiamolo così vive con la zia materna. La sua mamma c’è ma non è la sua mamma. O meglio; lui sa benissimo che è la sua mamma e lei pure (in fondo … come si potrebbe non sentire fisicamente e negare un legame così atavico e profondo?). Ma la mamma ha qualche problema e qualche giudice ha deciso che andava bene così. Che fosse la zia a doversi occupare della sua situazione a tutti gli effetti.
Roberto … ha anche un fratellino più piccolo. Che non è suo fratello. O meglio; loro sanno benissimo di essere fratelli ma non possono vedersi. Lo stesso giudice ha deciso che incontrarsi avrebbe traumatizzato qualcuno o leso gli interessi di qualcun altro.
Ed io come so queste cose? Per sentito dire, per chiacchiere di un paese, dove, si sa, si sa tutto di tutti. A scuola non mi ha detto niente nessuno perché c’è un diritto che sembra inviolabile,che è quella della privacy.
L’altro giorno Roberto si avvicina mentre sto scrivendo alla lavagna. Non lo riprendo perché ci sono giorni che vaga come una trottola impazzita e sarebbe fiato sprecato. Mi prende e mi abbraccia. Poi mi dice:
“Maestra, sai che mio padre vive in un altro paese?”
“Lo so Roberto,purtroppo molti genitori devono lavorare fuori e vedono poco i loro bambini. E’ un grosso sacrificio per loro. Le famiglie non sono tutte uguali,ce ne sono tante dove i genitori non sono presenti, ma sono famiglie lo stesso”
“Sì,ma io ho anche un fratello. Perché non posso conoscere mio fratello? Io lo voglio conoscere!”
La mia professionalità mi avrebbe costretto, forse, a dire che non sapevo niente della sua situazione e quindi non lo avrei potuto aiutare,purtroppo. Ed invece ho risposto di cuore, di pancia, solo come una mamma può fare.
“Vedi Roberto, nella vita le cose cambiano e non restano mai uguali. Chi può dirlo se nel futuro tu potrai conoscerlo? Vivi sereno con le persone che adesso ti vogliono bene e vedrai che il futuro sarà comunque bello”
Roberto mi ha abbracciato e se ne è tornato al suo posto sereno. Magari solo per una mezzora ma ho visto la serenità nei suoi occhi.E a me è bastato per dire che era una giornata felice.
La collega a cui ho raccontato questa storia sosteneva che io avessi fatto male ad introdurmi in un terreno così “minato”. E se con le tue parole hai creato qualche trauma al bambino? In fondo per la privacy tu non saresti tenuta a saperne niente, tantomeno ad ascoltare i pettegolezzi che la gente ti racconta.
Io ho risposto di cuore ed ho lasciato i panni della professionista per quelli della mamma. Forse non avrei dovuto farlo ma quel bambino, in quel momento lì, mi aveva chiesto aiuto.
Ed io me ne frego della privacy.
Sono un’insegnante ma soprattutto un’educatrice ed ho bisogno di sapere ciò che accade nell’emotività di ciascuno bambino proprio perché mi occupo della sua persona intera e non solo del suo apprendimento.
Roberto mi ha chiesto aiuto ed io gliel’ho dato nel modo che pensavo fosse giusto. Magari la sua vita e le scelte che gli adulti faranno per lui saranno diverse,ma la serenità nei suoi occhi mi ha dato ragione.