Ultima modifica 17 Giugno 2023
Giulionontidondolare Giuliasgomitolatidallasedia.
Non sono due giochi nuovi: sono due frasi ripetute circa 40 volte al giorno.
Penso spesso ai motivi per cui non mi abituo e continuo a ripetere Giulionontidon…. ne ho un bel po’.
Avete un po’ di tempo? Birretta?
Il primo: come insegnante devo infilare tutti gli accorgimenti necessari affinché il bambino non danneggi se stesso, gli altri e gli oggetti presenti a scuola.
Il mondo in una frase. Eh?!
Il secondo: la mia etica professionale.
Non posso scegliere io quale sia il momento per intervenire o per mollare. Non sono Dio.
Il “sempre”, che in realtà non è umano, resta l’unica via per evitare.
Diciamo che i bambini sono bambini, lo sappiamo tutti, ma diciamo anche che trovare una sola volta sul water impronte di entrambe le scarpe, ti relativizza molto il concetto di responsabilità. Diventa più un Gesummariafammilagrazia.
Il terzo: il terremoto.
Quando sai che c’è un pericolo continuo di sottofondo e tutto, dico tutto, ciò che è fuori norma o fuori controllo potrebbe complicare o rendere impossibile la fuga, allora ti si attiva quello 0,04% di cervello in più che ti permette di svegliarti.
Un esempio.
Giulia è raggomitolata letteralmente sulla sedia, ma non nel senso che è, come tutti i bimbi, in ginocchio. No. Lei ha una gamba tra schienale e sedile e l’altra col piede ben arrotolato nella zampa. Se passa il terremoto, il tempo che lei passa a mettersi sotto il banco è esattamente quello per prendersi un ciocco in testa.
C’è anche un quarto motivo: non riesco di mio ad essere superficiale su certe questioni, perché un bambino che si fa male si sovrappone visivamente alle mie figlie.
Il quinto è la legge di Murphy dell’insegnante: l’unica volta che molli, è quella in cui accade il peggio e nessuno ti capirà.
Tutto ciò è la norma, dopodiché c’è l’inimmaginabile, l’imponderabile, la zappa sui piedi che ti organizzi abilmente da sola: la gita.
Ha poi acquisito la tristissima denotazione di uscita didattica… molto asciutta, va beh.
Perché si organizza un’ uscita didattica?
Perché fa bene.
Fuori casa e fuori dalla scuola si svelano comportamenti responsabili, abilità inespresse di osservazione, leadership mai venute alla luce, capacità di organizzazione, gestione di piccole quantità di denaro.
Bambini che si prestano due euro per permettere al compagno di prendere la palla di vetro per il fratello.
Insomma, chi pensa che certe cose passino inosservate, non sa che è proprio questo il motivo per cui “la gita si fa”.
L’importante, come sempre dovrebbe essere a scuola, non è la meta, ma il viaggio, il percorso, gli incontri e le scoperte.
Quasi non importa dove.
Questo è ciò che pensa un insegnante in una classe dove la vivacità non toglie sicurezza, dove da parte dei genitori c’è fiducia, dove c’è un team coeso che “non ti lascia a piedi”:10 punti già in partenza.
Nonostante questo sei lì a contro-contro-controllarli, contarli ogni volta che scendono e salgono sui mezzi… cammini un po’ fuori dal marciapiede.
Perché se qualcuno inciampa o gioca o salta ha un minimo di margine e infine, cosa più importante, senti che ti fidi di loro. In fondo ti fidi, sì.
Ma quando i 10 punti sono 8…5…0 come si fa?
La sostanza, in quel caso, è che, in fondo, non ti fidi.
Ti sembrava di poter andare, ma poi no, perché con l’incolumità dei bambini non si scherza. Con i figli degli altri non si può.
E allora capita che si decida di non andare e i bambini ci restano male male.
Non è la paura. Posso immaginare che sia proprio terrore e quindi io, chi non va, lo capisco.
Tra l’altro nessuna legge impone agli insegnanti di accompagnare le classi in gita.
Forse, l’unica cosa che farei è riunire tutti i genitori al primo sentore negativo, avvisando che “se in classe si instaura un clima di mutuo aiuto che stimola il gruppo all’autocontrollo, si va… altrimenti il rischio di non andare è altissimo. Preparatevi.”
Finora sono sempre partita con i 10 punti di base, ma in futuro non escludo nulla.
Non si tratta di essere la signorina Rottermeier o Maria Montessori, si tratta di valutare obiettivamente una situazione e valutare le conseguenze di certe scelte.