Ultima modifica 2 Settembre 2016
Uno dei primi pensieri, condivisi spesso con tutti i familiari, che cullano le menti di una mamma e di un papà in attesa, è il nome che vorrebbero dare al frugoletto in arrivo. È anche uno dei pensieri più dolci, che personalmente ho sempre assimilato al primo dono verso mio figlio, il dono di un nome che esprimesse l’amore che lo ha circondato, fin da quando la stilla della sua vita si è accesa.
Ho cercato, con mio marito, un nome che legasse il nostro bimbo alla nostra storia familiare, e alla fine abbiamo scelto quello che suona come il nomignolo con cui gli amici di scuola chiamavano il papà, che festeggia l’onomastico nel giorno del compleanno del nonno, e ha un’assonanza col cognome, come capita anche a me.
Quando mi sono trovata a studiare le tante norme, le circolari amministrative e le sentenze che imponevano ai genitori di scegliere come primo nome uno sicuramente espressivo del sesso del figlio, eventualmente seguito da uno “ambivalente”, ho visto queste ingerenze come un taglio netto, violento e esterno, su quel legame di amore che la scelta del nome deve esprimere. Un’ingerenza legittima e anzi benedetta quando evita che genitori “buontemponi” impongano nomi ridicoli, anche nella connessione col cognome, come è avvenuto ad esempio per un signore il cui cognome è Sauro, e il nome Dino. Ma di esempi ce ne sono tanti, ed il sorriso che inevitabilmente provocano ha il prezzo di un’umiliazione per quelli che li portano, e spesso ne chiedono la modifica per atto amministrativo.
Ma cosa può cambiare, nella vita di relazione di una donna, il chiamarsi Giulia Andrea piuttosto che solo Andrea?
Il nome è il tratto distintivo della persona, che col nome si identifica fin dalla tradizione biblica, in cui Dio cambia il nome dei suoi fedeli per esprimere la loro vocazione, come fa Gesù col pescatore Simone, che diviene Pietro, perché su quella pietra si edificherà la chiesa.
Il nome esprime l’identità, ed è un diritto fondamentale, riconosciuto dalle Carte internazionali dei diritti dell’Uomo, il cui esercizio però non spetta al titolare, ma ai suoi genitori che lo scelgono in autonomia, con l’unico limite della tutela della dignità del figlio. Ecco la ragione del divieto dei nomi ridicoli o vergognosi, fondato sulla tutela dell’interesse primario, che è quello del bambino.
Una volta era vietato anche imporre nomi stranieri, ma in una società cosmopolita questa limitazione non ha più senso ed è stata eliminata con il nuovo Regolamento di stato civile del 2000.
Proprio per questo, non di rado “anche nel nostro paese non è infrequente imbattersi in persone di sesso femminile, di nazionalità o provenienza estera, che abbiano questo prenome Andrea”, e dunque non ha senso, per una recentissima sentenza della Cassazione civile, vietarne l’imposizione a bambine di cittadinanza italiana, oppure ordinare che sia preceduto da un altro prenome di valenza sicuramente femminile, come imponeva la circolare esplicativa n. 27 del 1/6/2007 del Ministero degli Interni.
Il divieto di imporre al figlio un nome non corrispondente al suo sesso è fondato sempre e unicamente sul massimo rispetto della dignità personale, perché il nome ha una valenza distintiva così rilevante che, se è palesemente espressivo del genere maschile, non può essere imposto ad una bambina o viceversa: in altre parole, se una bambina si chiama Pietro o un bambino Anna saranno probabilmente vittime di battutacce, o almeno fraintendimenti su un carattere che, nella mentalità comune, ha un rilievo preminente come l’appartenenza al genere maschile o femminile.
“Ma quando la caratterizzazione di genere, come nel caso del nome Andrea, ha perso la sua valenza distintiva esclusiva a causa dell’uso indifferenziato per entrambi i generi, in molti paesi stranieri, del nome in questione, la scelta dei genitori, alla luce dell’art. 34, comma 2, è del tutto legittima perché non determina alcuno sconfinamento nella lesione della dignità personale”.
Condivido questa decisione, equilibrata e sensibile, che ha visto nella scelta dei genitori non un capriccio o una moda, ma un dono d’amore, come quello che, nella bellissima canzone di Dalla, chiamava la bambina Futura. Sarebbero piuttosto da censurare altre scelte, eccellenti solo per la notorietà di certi genitori, di imporre ai bambini nomi che sono cognomi stranieri e pertanto non hanno nemmeno una connotazione di genere, come Chanel, o nomi comuni di animali o cose, come Lupo o Oceano. Questi davvero, secondo il mio modesto parere, sono nomi ridicoli. Per fortuna di questi bambini gli italiani sono così tanto appassionati di gossip da non accorgersene.
Vi prego, lasciamo agli anglosassoni l’ignoranza del fatto che Andrea è etimologicamente il nome più maschile che esista. Noi siamo neolatini e figli della civiltà greca, non sprechiamo la nostra gloriosa e millenaria peculiarità!
Ci pensano già i nostri “vip” volgarotti a screditarci nel mondo…
Anche a me piace molto il nome Andrea al femminile… non l’ho messo a nessuna delle mie due bambine per il semplice motivo che hanno già uno zio Andrea e sarebbe stato un po’ difficoltoso spiegare perché un maschio e una femmina abbiano lo stesso nome, però, come ha scritto Giampi nel commento sopra il mio, Andrea ha un significato etimologico prettamente maschile… dare ad una bambina un nome che significa “virile” non so quanto possa essere giusto. Sarà che io sono un po’ fissata con i significati dei nomi e non metterei a mia figlia nemmeno Rachele che, per quanto possa essere un bel nome, significa “pecorella”. Poi ognuno ha i suoi gusti!!!
Giusta la considerazione etimologica, Andrea da “Anèr, andròs”, greco, uomo. E’ altrettanto vero, però, che il nome è femminile non solo per gli anglosassoni ma anche per tutte le popolazioni di lingua spagnola. Il che comprende un numero considerevole di persone, su questo pianeta. Ecco, in sintesi, la ragione che giustifica la motivazione della Cassazione, sulla mancanza di valenza distintiva esclusiva di genere, di questo nome. Personalmente, anche noi abbiamo scelto per nostro figlio un nome che significasse anche un augurio per lui. Si chiama Leonardo. Ma, anche su questo punto, c’è chi mi ha rimproverato di aver messo sulle sue spalle una responsabilità troppo grande, di eguagliare il genio italiano di tutti i tempi. Penso, però, che quel che conti sia il dono d’amore che, col nome, noi genitori trasmettiamo. Poi, certo, non si possono accontentare tutti
Concordo con la sentenza della cassazione e con la tua opinione, il mio, dato che coloro che leggono per buona parte sono future mamme, era solo un appello al buon senso, all’orgoglio per quel poco che è rimasto di buono dell’essere italiani e all’attenzione e rispetto della dignità dei bambini.
Ps Leonardo è un nome bellissimo, era una delle due opzioni che avevamo valutato qualora la nostra Beatrice fosse stata un maschio. Avremmo forse dovuto pensare a Leonarda o lasciarlo così com’è, come sostiene Mammerica?
Mia figlia si chiama Libera. Forse da piccola, in una città del meridione, le è pesato un poco, soprattutto per le facili battute.
Ma adesso, dopo 35 anni,credo sia felice di portarlo.
Ehm……credo…..
A proposito,bisogna che qualche giorno glielo chieda!