Ultima modifica 15 Aprile 2013
Come è già accaduto, sono qui ancora una volta perché un servizio delle Iene in tv mi ha molto colpito e mi ha ispirato qualche riflessione. Nel servizio si parlava di Giuseppe Uva, un ragazzo fermato dalla polizia e uscito dalla caserma quasi cadavere e deceduto poco dopo all’ospedale.
La vicenda è così incredibile che sembra quasi un episodio di una serie tv, ma sono gli occhi della sorella del ragazzo che ti fanno capire che è tutto vero. E anche se ad oggi sono passati cinque anni ancora nessuna risposta degna di questo nome placa l’animo sconvolto e comprensibilmente arrabbiato della sorella di Giuseppe.
Al di là della vicenda giudiziaria che consegue all’accaduto di quella notte terribile scandalosamente e palesemente viziata da ombre e dubbi sul comportamento della polizia ( vi invito a cercare il servizio sul sito delle Iene per farvi una vostra opinione ) mi pongo questa domanda: perché è così difficile per le istituzioni ammettere di aver sbagliato e porre rimedio almeno in termini di giustizia sociale?
Faccio solo un’ipotesi, non sono certo in grado di emettere nessuna sentenza ma sono certo in grado di avere una mia opinione. Mettiamo quindi il caso che veramente sia come dichiara a gran voce la sorella del ragazzo morto. Ovvero che quella notte il ragazzo è stato pestato tanto da rimanere ucciso. Picchiato dalle forze dell’ordine. Da qualcuno all’interno della caserma. Perché solo così si spiegano il corpo martoriato dai lividi e la testimonianza raccolta dalle Iene ma non dalle autorità giudiziarie dell’amico arrestato con il ragazzo che afferma di aver sentito gridare dal dolore il suo amico. E a chiamare per primo l’ambulanza.
Eccetto i diretti responsabil,i che ovviamente non ammetteranno mai la loro colpa, tutti quelli presenti in caserma quella notte sanno cosa è accaduto. Sanno la verità. Ma nessuno la dice. Nessuno condanna, accusa spiega o chiede perdono. Nessuno punisce nessuno. E un ragazzo muore.
Perché nessuno ha il coraggio di dire qualcosa ? Perché i responsabili della caserma in questione non si fanno avanti ?
Voglio dire che io, da cittadina, sono inorridita al pensiero che proprio chi per primo dovrebbe tutelarmi e proteggermi invece mi colpisca così forte e ingiustificatamente da uccidermi. Io che, da madre, tremo al pensiero di un figlio che possa combinare una marachella e che, fermato dalla polizia, muoia poche ore dopo in ospedale. Senza un vero perché. E’ una paura, un sospetto che sono inaccettabili in quella che ancora definiamo una società civile, uno stato libero e giusto. Ma mi fa ancora più paura pensare che nessuno parli. Che il timore ( e la certezza ) della ritorsione blocchino il coraggio e la verità. La vera giustizia e libertà. Che non è quella di poter avere ancora un lavoro ma quella di non aver paura di perderlo perché mi comporto in modo onesto e giusto. E che questa comunque sacrosanta paura dia spazio e corda alla più infamanti delle accuse per quello stesso stato che fa indossare quelle divise: la violenza accettata, celata e coperta di omertà. Non molto diversa dalla stessa mafia, camorra e ndrangheta che dovrebbero combattere. Che moltissimi grandi uomini combattono davvero ogni giorno.
Io credo nella polizia e nelle forze dell’ordine, sono certa che la stragrande maggioranza tuteli la mia sicurezza e sia un porto di giustizia, di durissimo lavoro dove il coraggio e l’onestà per un bene collettivo e supremo vengano difesi con le unghie e con i denti. Ma sono anche certa che, come in tutti i campi, ci siano anche in questo albero frutti marci. Anche in una terra come la Sicilia dove la mafia appoggia la sua casa base, io so che la maggior parte dei frutti sono incontaminati, che i ragazzi e le nuove generazioni sono sempre più forti e coraggiose e che lottano per estirpare questa piaga. Io so che, oltre a pessimi insegnanti che scaldano una sedia senza pensare al danno che provocano ai ragazzi che sono il nostro domani, ce ne sono moltissimi che invece stanno sempre in piedi. Che la sedia la usano solo per elevare le coscienze e la conoscenza. Che solo così possono crescere insieme e fare di giovani menti e anime persone degne di vivere.
Il marcio è parte dalla nostra natura umana. Lo so, lo accetto come invariabile. Ma non capisco né accetto che ci si lasci colorare tutti. Che la rassegnazione o lo sconforto di tutti anneghi e cancelli il buono.
La polizia, in questo caso, dovrebbe dire la verità. Punire i colpevoli e fare giustizia. Una vera, assoluta, chiara e limpida giustizia. Tutti i colpevoli puniti. La verità data alla sorella e alla famiglia di Giovanni. Io credo che al di là dello sconcerto iniziale se si pensasse che davvero è stata fatta giustizia la colpa di pochi non sarà quella di tutto il corpo. Non penserei di non potermi fidare ma anzi, che il marcio di alcuni è stato cancellato dalla potenza di altri. Dal bene.
Io devo e credo al bene. A quello che ancora sconfigge il male. Spero che presto una verità venga fuori. Che sgorghi libera e pulita. Per ripartire accanto alle nostre forze dell’ordine, con un migliore e trascinante entusiasmo. Siamo così abituati a sentire solo il male, il traditore, il ladro e l’assassino. Il corrotto, il falso e il bugiardo. Siamo così assuefatti? Parlare dell’accaduto a Giovanni. Per rispetto.
Il rispetto che si deve a chi è morto. Alla famiglia che ne piange la morte senza trovare pace. E ad ogni cittadino che ancora si aggrappa ad un filo sottile di speranza tinto di giustizia.