Ultima modifica 20 Giugno 2019
Da genitore mi aspetto sempre un insegnante capace, un full optional: pazienza, garbo, intelligenza, imperturbabilità, cultura, capacità pedagogiche impiantate nel chip.
No. Purtroppo in Italia non accade.
Purtroppo in Italia gli insegnanti si formano sul campo e ci vogliono anni per comprendersi e comprendere.
Ma non dipende tanto da loro, quanto dall’essenza profonda della nostra scuola.
Dipende dal modello di insegnante italiano che io riconosco nella Montessori, in Don Milani, in Lorenzoni, in Frabboni…
In Italia c’è la scuola dell’Inclusione non da quando la si nomina (ché le parole non fanno la realtà), ma da sempre.
Da quando hanno eliminato classi e scuole differenziali che erano una vergogna.
La nostra è una scuola dove il rapporto con lo studente è vivo. Con ogni studente.
Ricordo che mio cugino, insegnante in una scuola inglese, mi raccontava che le verifiche e i test venivano infilate in una buca dagli studenti, neanche date a mano.
Magari non sarà una prassi.
Magari sarà un caso.
Ma quella freddezza e quella distanza da noi non esiste.
Un insegnante italiano non ha solo il compito di istruire. No. Si deve “sporcare le mani” o meglio, l’anima.
Una mia amica ieri mi ha detto: quando lascio mio figlio a scuola mi aspetto che l’insegnante in quel tempo lo educhi al posto mio. Ed ha ragione. E’ inutile rifuggire a questo compito.
Noi dobbiamo educare, sia che a casa il genitore faccia il suo dovere, sia che non lo faccia.
Per insegnare tutti i valori positivi spendibili nella società, devi essere quei valori, devono uscirti dalla pelle, altrimenti non ce la fai.
Come far passare da te alla classe tutto quello che reputi giusto, però, richiede tempo, equilibrio, pazienza, costanza, resilienza, perché si fallisce spesso.
E nel compito educante, invadente nelle nostre classi, c’è anche (voi direte soprattutto) quello di istruire, di far conoscere, di far imparare.
Esatto. Dovrebbe essere il principale dovere della scuola. Insegnare e far imparare.
Ma l’aspetto educativo si impasta con l’altro, tanto che spesso non si intravvede il confine.
Sì, perché per imparare devi saper ascoltare, e l’ascolto è uno dei valori dei più preziosi che ha nello scrigno il rispetto del silenzio e di chi sta parlando.
Per saper scrivere e leggere occorrono la pazienza, la coordinazione e il controllo.
Per risolvere un problema serve calma, serenità, tempo, capacità di mettere in relazione.
Per insegnare serve una fiducia nei bambini e nei ragazzi che oggi, in questo mondo, non ha più nessuno.
Tutto condito dalla fiducia nelle proprie capacità, che è la pista di lancio di ogni azione, e dal riconoscimento di ciò che si ottiene.
Ecco, quindi l’insegnante, oltre a saper cosa deve insegnare, deve curare nella stessa misura la pazienza, il controllo, la coordinazione, la calma, la serenità, il tempo, la capacità di mettere in relazione e la fiducia nelle proprie capacità… e la gratificazione. Un bel po’ di roba.
Ora, io, da genitore, pur provando, non riesco ad aiutare le mie figlie in tutto questo.
Mi rendo conto che a scuola riesco a dare molto di più di quanto non riesca a casa, perché da insegnante ho quel canale diretto con il sapere che al genitore non viene riconosciuto.
Da qui, fondamentale è riconoscere il lavoro che fa l’insegnante, perché io, da genitore, non riesco, pur sapendo come si fa.
E quando si giudica il lavoro dei docenti, prima si dovrebbe provare. Poi, parlare.
Quanto è diventato facile parlare…
Sono d’accordo con Alda Merini: amo le persone che scelgono con cura le cose da non dire.