Ultima modifica 28 Aprile 2021
L’incipit può sembrare tutto sommato normale: due adolescenti litigano e si danno appuntamento per risolvere la questione attraverso la forza fisica.
Fino a qui, se non enfatizziamo il lato violento della questione, la vicenda potrebbe quasi assumere dei contorni romantici. Come nel 1500 quando, subendo quello che si riteneva un torto, si lanciava il guanto di sfida per ripulire l’onta.
Non è la Francia dei valorosi moschettieri ma Piacenza è una rispettabile cittadina e alla fine, diciamocelo, due ragazzi che se le danno non hanno mai sconvolto nessuno.
Anzi, l’insegnamento educativo del “la violenza è sbagliata ma se ti attaccano difenditi” sta nel nostro DNA sociale e culturale praticamente da millenni. Altrimenti non esisterebbero le “missioni di pace”.
Che poi, a voler pensare bene, questi due ragazzi avranno anche avuto un motivo poco importante agli occhi di noi adulti. Ci sarà di mezzo una ragazza contesa? O magari un’offesa ricevuta che non può rimanere impunita?
Insomma: sono cose da ragazzi!
Sono sempre successe
e sempre succederanno.
Ed è qui che il meccanismo si inceppa perché la vicenda, nel 2018, assume dei contorni differenti.
Un terzo ragazzo (con grande spirito imprenditoriale, devo ammettere) comprende che una semplice scazzottata può essere trasformata in uno spettacolo e di conseguenza diventare remunerativa.
Per questo convince i due contendenti a formalizzare il duello: luogo, giorno e ora in cui si pesteranno. E il novello esperto di marketing si preoccupa di ben pubblicizzare l’evento sui social.
Nessun biglietto d’entrata, però.
Il guadagno è la fama, misurata a suon di followers.
D’altra parte funziona così anche in alcuni settori del mondo del lavoro, quello vero.
“Se porti a termine questo progetto per me ci guadagni in visibilità” ti senti spesso dire negli ambiti più creativi. Ma non divaghiamo, anche se dai parallelismi con il mondo adulto gli adolescenti hanno molto da imparare. E forse, al contrario, anche gli adulti stessi.
L’evento ha successo: più di un centinaio di ragazzi curiosi si presenta per assistere, like e followers piovono come se non ci fosse un domani, i protagonisti hanno un’impennata di popolarità nel gruppo. Nemmeno più importa, in fondo, chi le ha suonate a chi.
Perché questo, ad oggi, ancora non lo sappiamo.
Il coraggioso imprenditore di sé stesso vuole cavalcare l’onda del successo e organizza altri due combattimenti senza necessità, questa volta, di un elemento scatenante.
The show must go on.
I social continuano ad essere il mezzo di comunicazione e altri due spettacoli da fight club hanno luogo fino a che, al terzo appuntamento, il mondo degli adulti si accorge di ciò che sta succedendo. E intervengono le forze dell’ordine. “Con calma e per favore” mi viene da aggiungere.
Ecco dove il meccanismo del “è sempre successo e sempre succederà” si è inceppato: nella diversità dell’obiettivo. Non più “sistemare una discussione” ma “apparire e guadagnarne in immagine”, anche a costo di essere quello che le prende.
Ora: a me la questione sembra preoccupante sotto diversi punti di vista, ma non sono relativi agli adolescenti.
Provo a pormi degli interrogativi.
Da dove nasce
questa cultura della violenza?
Mi viene da sorridere al solo pensare quanto risulti retorica questa domanda. In un mondo in cui il mito del più forte, del chi urla di più, di chi ha più valore come regola universale pare quasi illusorio pensare che l’ambiente non influenzi i giovani.
Perché tutta questa necessità di apparire?
Seconda domanda retorica trattandosi di adolescenza, un momento della vita in cui ciò che sono all’esterno secondo i canoni di un criterio universale mi restituisce l’immagine di ciò che sono all’interno.
La vera domanda infatti è un’altra.
Perché gli adulti si accorgono sempre tardi di ciò che accade ai loro figli?
Gli adolescenti, infatti, stanno svolgendo il loro lavoro egregiamente rispondendo a tutte le necessità evolutive che si trovano ad affrontare cercando di formare (faticosamente) la loro immagine di adulto.
Siamo noi adulti che, probabilmente, non stiamo portando avanti il nostro mestiere che è quello di porre dei limiti e mostrare strade alternative possibili.
Quanti di noi controllano i cellulari dei loro figli (almeno una volta ogni tanto, per non intaccare quella “privacy” che ha un suo significato)? E se mio figlio arriva a casa con un occhio nero o con evidenti segni di una rissa mi faccio delle domande? Ma soprattutto sono in grado di guardare mio figlio con curiosità e di ascoltare eventuali suoi cambiamenti o preoccupazioni?
Sono quasi certo che la maggior parte degli spettatori si sia recato al primo combattimento per curiosità, per adesione al gruppo, per vedere cosa succedeva o come andava a finire. E la maggior parte di loro, probabilmente, è tornato a casa confuso o addirittura schifato da quanto ha visto. Ma questo non avrà impedito loro di partecipare al secondo appuntamento e al terzo.
E adesso che gli articoli sono usciti quanti di noi hanno parlato con i propri figli chiedendo loro cosa ne pensano.
Perché Piacenza non è il Bronx. Piacenza è la metafora del luogo in cui abita ognuno di noi.