Ultima modifica 14 Settembre 2015

La morte è più dura per chi resta che per chi se ne va. O forse no, ma nessuno è mai tornato indietro a raccontarcelo. Lo ha fatto solo una persona, ma era il figlio di Dio e il dato non è empiricamente ripetibile.

Sarà che il mio papà è morto quando ancora non avevo gli strumenti per gestire un vuoto così grande, che poi non si è mai davvero in grado di dire addio a chi si ama e poco conta l’età.

In “Lettera ad un bambino che è nato”  scrivo che la difficoltà ad avere figli va oltre la capacità di procreare

E’ qualcosa che ha a che fare “con una diversa percezione del tempo. Con l’insostenibile peso del pensiero della fine. Il tempo che passa, inarrestabile, feroce, scorre verso qualcosa che non torna indietro, verso la vecchiaia, la morte. La mancanza di un figlio ti priva della possibilità di lasciare qualcosa di te, dopo di te, al mondo. Ti toglie il conforto di credere che a qualcosa sei servito. Tutto questo sarà pure frutto dell’egoismo, ma rende tollerabile e forse più umana, la prospettiva che la vita possiede una fine”.

E’ inesorabile il desiderio di lasciare qualcosa del nostro passaggio, che ci sopravviva, che attribuisca senso.

Socrate afferma che ogni uomo aspira all’immortalità e lo fa mettendo al mondo figli.

Figli fisici o spirituali.

“Ma chi sarebbero questi figli spirituali? Socrate sorride benevolo. Non esiste solo la fecondità del corpo, spiega. Anche l’anima può fecondare o venire ingravidata. Anche l’anima, proprio come il corpo, può eccitarsi davanti a ciò che sente bello e provare la pulsione irresistibile di procreare qualcosa che le sopravviva. L’amore è un’energia che si impossessa dell’amante e si esprime in una tensione creativa. Se invade il corpo, porta alla nascita di una creatura in carne e ossa. Ma se invade l’anima, genererà qualcos’altro. Genererà delle opere.

Di queste opere generate dall’amore non esisterà mai un catalogo completo, perché ciascuno di noi può apportarvi il suo contributo originale. Di sicuro il catalogo non si esaurisce con le creazioni artistiche, ma tocca ogni campo della vita. Una bella legge partorita da un politico virtuoso, riconosce Socrate, è anch’essa una figlia spirituale dell’amore (negli ultimi tempi ci deve essere stato un crollo drammatico delle nascite spirituali).

Cosa sta cercando di dire, anche all’uomo moderno, il genio di Platone? Una cosa semplice e formidabile: soltanto chi ama crea. Non importa l’oggetto verso cui si dirige l’energia creativa. Uno può amare una persona, un sogno, un ideale. Ma è veramente vivo soltanto se, e soltanto finché, ama qualcuno o qualcosa”.

Ricordiamocelo.

Ricordiamoci che tutto scorre, come l’acqua, come i giorni, diversi l’uno dall’altro, eterni nella loro ripetibilità, eppure, unici.

Ma non sono ripetibili. Ogni istante è diverso da quello che lo precede, ogni momento buono per non essere rimpianto, ogni momento buono per morire sotto un cielo complice.

Ricordiamoci che tutti i  modi di dare amore, tutti i modi perché un po’ di noi sopravviva, in tante persone diverse, nei geni e nelle anime, nelle mete, nelle passioni, nei sogni che sapremo inventare, placano il nostro senso di angoscia davanti alla morte.

Forse, non daremo mai un senso allo scorrere del tempo senza un figlio, ma avremmo amato.

Simposio di Platone

(IV sec A.C.)

Il discorso di Socrate (III parte)

Massimo Gramellini La Stampa

“Solo chi ama veramente è vivo”

http://www.lastampa.it/2013/07/07/blogs/cuori-allo-specchio/solo-chi-ama-veramente-vivo-HRu4xLcokKL8pk9hcfsDKJ/pagina.html

Raffaella Clementi

 

 

 

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