Ultima modifica 20 Giugno 2019
Argomento delicato e lo affronto da maestra un po’ mamma.
Se dovessi rispondere alla domanda: «in che misura, il pensiero e l’atteggiamento dei genitori influiscono nella riuscita del bambino a scuola?», direi semplicemente che intervengono in modo determinante.
Il percorso scolastico, infatti, abbraccia l’arco di vita di un bambino-ragazzo nel momento della formazione della persona, momento in cui la presenza reale o mentale del genitore è necessaria e inevitabile.
È vero che, per cinque o più ore, viene affidato all’insegnante ma, in ogni suo approccio, gesto, successo o insuccesso, il genitore è presente, volente o nolente.
Non dico che il bambino non costruisca il suo cammino in modo autonomo, che non sia fondamentale come si lavora a scuola, il rapporto con l’insegnante e le relazioni con i compagni, ma c’è in lui il riflesso continuo di ciò che si pensa, si accenna, si “esplode”, si critica a casa.
Da ciò che ho potuto osservare in prima persona, le menti dei bambini sono dei cristalli, che riflettono tutto ciò che vedono o sentono. Con meno di quanto immaginiamo, queste menti, ancora tanto fragili, quanto pronte a recepire, possono incrinarsi in punti così nascosti, che spesso non riusciamo a capire.
«Perché mio figlio si comporta così?»
Accade a tutti i bambini, sicuri e insicuri di base, più e meno veloci nell’apprendere, gioviali o scuri caratterialmente. Non ci sono garanzie.
Alcuni esempi.
Il bambino, di punto in bianco, non va più d’accordo con alcuni compagni, senza che a scuola sia accaduto qualcosa di significativo: basta un’incomprensione tra le famiglie.
All’improvviso, la bambina non trova più soddisfazione nel fare i compiti: è sufficiente un piccolo apprezzamento al compagno, che viene a casa per lavorare insieme (un consiglio: anche fosse evidente, non facciamolo, non aiuta ed è frustrante perché, da quel momento, inizierà un dannoso, logorante confronto quotidiano anche a scuola).
Ultimo caso: il bambino a scuola si irrigidisce o si imbarazza perché il genitore, apertamente o velatamente, non apprezza l’insegnante; al momento del rimprovero a scuola, egli avrà una reazione del tutto inaspettata, come se si sentisse perseguitato. È possibile che si inneschi un atteggiamento provocatorio o esageratamente remissivo, disturbando la sua crescita scolastica.
Il problema è che sempre più spesso, da genitori, per ogni difficoltà si tende a cercare il problema fuori casa, esternamente alla famiglia, vedendo il bambino stesso come vittima di ingiustizie, evitando così quell’introspezione necessaria a crescere dentro una realtà, e a capire che la realtà non può adeguarsi a lui/lei in ogni circostanza. Questo, ovviamente, al di là di problemi personali con un insegnante, situazioni problematiche anomale di classe, difficoltà specifiche, bullismo – capiamoci bene -.
Prima di arrivare a qualunque conclusione – e questo lo dico da mamma di una bambina che ha appena iniziato la prima primaria -, bisognerebbe riuscire ad analizzare il nostro bambino, il nostro comportamento, il tempo e l’interesse che dedichiamo alla sua attività scolastica, il tempo che abbiamo per aiutarlo e sostenerlo nei compiti, la misura del nostro sostegno a-polemico nei momenti in cui non riesce a superare una difficoltà. E, infine, ma non ultima, dobbiamo considerare l’influenza dei cambiamenti che avvengono in famiglia, sia a livello di rapporti, sia a livello lavorativo. Voglio dire che i bambini cercano sicurezza e stabilità, continuamente e, quindi, nel momento della modifica di uno stato, hanno bisogno di comprensione, sostegno e tempo per assorbirla, sempre. Quando noi genitori siamo in difficoltà, a volte, puntiamo spesso a “chiudere gli occhi” e fare regali che, però, confondono le idee e non aiutano a capirsi profondamente.
Un bambino capisce i suoi sbagli e le necessità del momento, se vengono spiegate apertamente e semplicemente: la mamma cambia orario di lavoro, il papà perde il lavoro, il papà ritrova lavoro, la sorella cambia scuola, viene la baby-sitter, invece di andare dalla nonna, resta alla mensa e la mamma arriva alla 16.00. È certo che un bambino debba abituarsi a certi cambiamenti.
Però, se lo diamo per scontato, senza parlarne o osservarne la ricaduta, rischiamo di non accorgerci che a lui/lei manca la terra sotto i piedi per un bel po’.
Come dice una persona che stimo tantissimo e che abbraccia ogni giorno decine di neo genitori, e non solo, la dott.ssa Cecilia Gioia, ” Godiamo del privilegio di essere genitori” (aggiungo, rispettando di più chi vorrebbe con tutto il cuore spendere il suo tempo con i problemi di un bambino, ma non può averlo ).
Da insegnante posso dire che noi, appena vediamo entrare un bambino dalla porta, possiamo immaginare già dalla sua espressione come sarà la sua giornata e cerchiamo di renderla migliore in un modo o nell’altro. Ecco, forse potremmo fare una cosa, da genitori: osservarli, mentre arrivano a fare colazione, o a pranzo, o a cena: se hanno “il muso”, capirne il perché e cercare di rendere le cose migliori, per quanto possibile.
Un abbraccio in silenzio di giorno, di sera, al mattino e, perché no, (è capitato anche a me) dire in modo fermo: «a scuola si va, sempre, e si deve fare il meglio che si può. Se c’è qualcosa che non va, parla con la maestra: è una persona. Se a casa hai bisogno di una mano, parla con me, io mamma/papà/nonno ( e, perché no, la baby sitter), ci siamo».