Ultima modifica 17 Giugno 2023
Giochiamo a nascondino?
A un anno si coprono gli occhi e diventano invisibili al mondo.
A due anni si smaterializzano dietro una tenda bianca, piedi compresi.
A 4 anni ti tolgono 10 anni di vita infilandosi nell’armadio delle scope e non respirano.
A 4 anni e mezzo “Mamma dimmi un posto dimmi un posto, ma non quelli vecchi!”
E contano pure fino a 20.
Imparare giocando. Il gioco è la chiave di tutto. Anche a scuola
C’è un progresso gigante che è avvenuto… leggendo trattati scientifici sull’argomento.
Li vedo i nostri bambini che vanno di evidenziatore su “L’importanza della scelta del nascondiglio dietro l’albero determina la duplice possibilità di vittoria in quanto, girandovi attorno, permette l’invisibilità in movimento, e altresì la possibilità di sgattaiolamento veloce verso la tana”… non vi sembra di vederli?
A giocare si impara giocando.
A vivere pure, per loro, si impara solo giocando.
Il gioco è la chiave di tutto
Educazione e istruzione.
E lo pensa anche la Fondazione Lego, sì, la Lego danese, la casa dei giocattoli più intelligenti mai esistiti al mondo, che chiede ai genitori di puntare sul gioco più che sull’iniziazione alla lettoscrittura a 3 anni e mezzo, all’inglese in lingua madre a 4, alla fisica nucleare a 5…
Penserete “Ettecredo”.
E’ fuori discussione che tirino l’acqua al loro mulino… ma hanno anche la ragione da vendere, oltre ai mattoncini.
Lev S. Vygotskij (che mi piace proprio tanto) dice che addirittura il gioco (fisico, di finzione o strutturato) coincide con l’area di sviluppo prossimale o potenziale in cui il bambino ha la possibilità di superare le sue capacità del momento, arrivando a più elevati schemi astratti che lo porteranno alla comprensione reale della regola.
Quale regola? Che sia morale, sociale, linguistica o matematica, poco importa.
Tutte servono per la vita.
E’ come una possibilità reale di proiezione verso uno sviluppo dell’intelletto.
Imparare giocando. Tutto associato ad un gioco costruttivo, versatile, può dare veramente tanto ai bambini.
Ci sono bambini che sembrano non amare le costruzioni.
Ma basta mettersi in terra e iniziare a costruire da soli senza parlare (sai di quelle cose furbe che riescono a fare i genitori) che dopo due minuti arrivano lì, ti guardano mentre fischietti impegnato… e prendono un pezzo e poi un altro.
I bambini sono così, a parte quando ti vedono mangiare i cavoli.
E vuoi che la scuola non la prenda al volo questa possibilità?
Eh. Ancora mica tanto.
Ma in questo momento storico di grande grande e, oserei dire, grande attenzione per la scuola da parte del governo, c’è di pari passo il sottobosco degli insegnanti, quelli che la scuola la fanno, per intenderci, che sono con tutti e due i piedi nella loro “zona di sviluppo prossimale” e forse ce la faranno.
Ci sono quelli che hanno visto come cambia uno sguardo tra “Ora copiate alla lavagna gli amici del 10” e “Ora venite qui in cerchio, prendete mollette e cartoncini, cubetti o tappi, e vediamo di fare 10”.
Farli giocare a scuola è rischioso, perché poi rimetterli di fronte al quaderno è dura.
Farli giocare a scuola è tosto, perché i giochi devono avere molto senso e contemporaneamente dare il “frizzico” della sana competizione. Fare in modo che a tutti tocchi il momento di gloria.
A volte anche io mi dico mannaggiaammé e a quando mi prendono certe idee. Ma ormai la mia collega storica ed io ce lo diciamo regolarmente 4-5 volte al giorno. Non ci facciamo più caso.
La partecipazione diretta, la creatività, il potersi muovere e il poter giocare insieme per costruirsi il sapere, sono il nostro modo.
Imparare giocando rende tutto più facile.
Come ha detto Bruno d’Amore in un recente convegno, il nostro mestiere non è insegnare ma è l’apprendere dei nostri bimbi e finire il programma non coincide col successo scolastico dei nostri ragazzi.
Quindi, se 2+2 fa 4, facciamolo giocando anche con la Lego, perché no, ché il 4 non cambia… ma forse arriva prima, con un sorriso in più e resta dentro più a lungo.