Ultima modifica 17 Giugno 2023

Vado a scuola nel the day after: ieri i colloqui.
Ma dimentico occhialifigliagrande e, dopo averle lasciate entrambe a scuola, mi ri-precipito a casa a recuperarli.
Sola in macchina mi godo un po’ di code e un po’ di gente.
Davanti a me una macchina si ferma all’ingresso di una rotonda.
Un bambino, di 10 anni più o meno, scende e la mamma, mentre riparte, lascia aperto il finestrino e ci parla.
Lui fa segno di sì con la testa. E ci parla ancora e lui ancora sì con la testa e poi sorride.
Anche lei sorride. Si vedono gli occhi dallo specchietto.

Poco più in là un’altra mamma col passeggino e due bambini al seguito: 7.45. Quello nel passeggino si dimena, ma lei non ha tempo né di consolarlo, né per prenderlo in braccio, ché altrimenti si fa tardi. Gli altri due mi strappano un sorriso: come folletti col sacco sulle spalle, guardano in terra e camminano veloci, passo passo e corsetta per star dietro alla mamma. Ogni tanto il primo cerca di afferrare il fumetto che gli esce dalla bocca.
E lei si volta ogni due passi.

Arrivano dalle loro case ed entrano a scuola, il mondo senza giochi, senza tv e tablet, il mondo senza divano e senza frigo, il mondo dedicato in cui possono e devono essere se stessi, forse in un modo sconosciuto anche a casa, ma con dentro il loro mondo esperienziale e affettivo e quei sorrisi dal finestrino e quelle corsette nel freddo.

I colloqui sono andati bene. Sì, ma c’è un motivo quando vanno bene. Ce ne sono molti quando vanno male.

colloqui1Partiamo dalle cattive notizie.
Vanno male quando l’insegnante sgancia il bambino dalla sua realtà familiare e sociale, quando il bambino o ragazzo diventa un semplice alunno che deve dare risultati. E allora non indaga, non cerca di capire, dà solo giudizi e voti.
Vanno male quando il genitore pretende risultati solo dall’insegnante e non dal proprio figlio.
Vanno male quando il genitore nasconde, per timidezza o paura del giudizio, le difficoltà che incontra nella gestione “scolastica” del bambino e quando l’insegnante nasconde, per paura di perderci in professionalità, i fallimenti con quel bambino.

Le buone notizie invece partono da qui:
i colloqui sono necessari per fare il punto
e ripartire.

Ci si deve parlare a viso aperto ( è un atto dovuto), pensando che i tentativi fanno parte dell’educazione; pure quelli falliti, perché sono quelli a permetterti di aggiustare il tiro.
Certo che se stiamo a preoccuparci del giudizio, mettiamo in primo piano noi e in secondo il bambino.

Negli anni ho accumulato con le mie colleghe 120 ore di colloqui, più tutti i pizzichi all’ingresso e all’uscita.
Sempre guardandosi in faccia, dicendo anche spesso “così non va, ma proveremo diversamente” e mai nessun genitore ha reagito in modo negativo.

Il fulcro. E’ importante quello.

Se tutti siamo concentrati a far stare bene il bambino affinché possa migliorarsi, è difficile che le cose vadano male.

E’ difficile.
Comprendere insieme che ogni bambino parte dal suo “Via” ed è da lì che si deve muovere, senza fare passi indietro e senza pretendere doppi salti carpiati in avanti.
Inutile dire che il rapporto scuola famiglia deve essere sereno. Inutile perché è un’ovvietà.
Le buone notizie continuano così: solo mettendosi ogni giorno in discussione, mettendo in conto di poter sbagliare e rimediare, allora si avvera la maturazione progressiva e la difesa quotidiana di un’identità.
E godiamoci insieme i progressi, a volte splendidamente piccoli ma forti e irreversibili.

Volevo fare l’archeologa… invece sono moglie, mamma, sorella e maestra e per me è più che sufficiente, anzi, ottimo. Sono una donna “orgogliosamente media”, ma decisamente realizzata, che non si annoia neanche un po’…

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