Ultima modifica 10 Ottobre 2019
E’ marzo. Siamo nell’auditorium/teatro del liceo. Titolo della rappresentazione: FRONT.
Gli attori sono studenti delle scuole del distretto scolastico. E ad un certo punto entra quel ragazzo. Un tuffo al cuore.
E’ mio figlio. Inizia a parlare. Molto bravo.
Mi scende una lacrima intercettata dalla mia amica che è seduta accanto a me.
Vorrei alzarmi e dire alla platea che quel ragazzo fino a 4 anni fa non sapeva una parola di questa lingua e ora è lì, sul palco, senza vergogna, senza problemi, a parlare con scioltezza in questa lingua che non è la sua. Perché lui in casa parla sempre e solo italiano. Ma fuori dalle mura di casa parla con scioltezza inglese passando da una lingua all’altra come niente fosse.
Qualche giorno fa mia figlia mi ha chiesto di leggere un suo essay, un tema, sul CORAGGIO.
Lei molte parole italiane non le sa dire. Non perché in casa non parli italiano, ma perché è arrivata qui che aveva appena compiuto 9 anni e certe parole le ha dimenticate, oppure le ha imparate direttamente in inglese senza averle mai imparate prima in italiano. Quindi fa molta più fatica a fare un discorso lungo. Si sforza e lo fa ma spesso ci chiede come si dice una certa parola.
Leggo il suo tema e mi ritrovo a piangere come una scema.
Riesco ancora a commuovermi dopo quasi 5 anni. Sono stati bravissimi e veloci.
Hanno affrontato e superato ostacoli grandi come montagne. E ora sono forti e coraggiosi.
E poi ascolto fratello e sorella che parlano fra loro: hanno creato una seconda lingua fatta di vocaboli inglesi italianizzati. Parole come “hang-out” [pron. engaut] (ritrovarsi con gli amici) diventano “engauttare”. E i loro discorsi sono pieni di verbi incomprensibili.
La storia è molto diversa per noi genitori: nonostante abbiamo entrambi studiato inglese a scuola e l’abbiamo entrambi usato per lavoro, essere sul posto, capire i loro slang, i loro accenti, alla velocità della luce, è una cosa assai più complessa. Troppo facile prendere un bel voto con un’insegnante che parla lentamente, pronuncia perfetta, senza slang. Ma quando parli con questa gente è tutta un’altra cosa! E poi loro la grammatica la sbagliano.
Comunque ancora ora, dopo quasi 5 anni, capita qualcuno che con un semplice “Good morning” mi chieda “where are you from?”. Cavoli! 4 sillabe e mi hai già beccato. In realtà è solo perché il nostro accento straniero è diverso dal messicano a cui sono abituati.
Il nostro momento di massimo divertimento è quando siamo in giro e parliamo italiano fra noi: vediamo la gente che allunga le orecchie per cercare di capire la lingua e qualcuno fa anche le scommesse. Ahimé ci è anche capitato di essere scambiati per francesi… 😛
Scherzi a parte, noi adulti facciamo molta più fatica: per 40 anni abbiamo parlato un’altra lingua molto complessa e ora parlarne una nuova fa venire mal di testa. E non parliamo poi del telefono: ODIO parlare al telefono in inglese!
Appena entrati nelle rispettive scuole americane, hanno avuto il supporto di un tutor che li ha aiutati con la lettura, la scrittura, a fare i compiti. Dopo meno di 2 anni scolastici sono entrambi usciti dal programma e ora hanno ottimi voti anche in inglese.
E io che mi preoccupavo per loro… !!!