Ultima modifica 30 Novembre 2015
Esattamente 14 anni fa ho incontrato una persona stupendamente attiva nelle scuole (insegnante, plurilaureata in matematica, fisica e filosofia; direttrice didattica; creatrice di ludoteche per bambini diversamente abili; formatrice di insegnanti e genitori) che per fortuna ha deciso di tenere un corso di formazione per il famoso Concorsone per l’abilitazione all’insegnamento del 2000.
Non dirò il nome, perché da anni non ci frequentiamo, ma lei traspare in ogni mio “pensiero scolastico”.
Non so se avete mai provato la sensazione “spaesata” di impegnarvi in un’impresa di cui non sapete nulla…si ha la sensazione che il bandolo della matassa sia ben nascosto e che non riuscirete a trovarlo.
Io, operatrice in una cooperativa sociale…aiuto-compiti per bambini in difficoltà; io, che volevo fare l’archeologa, mi ero messa in testa di insegnare. Andando alla prima lezione del corso scuotevo la testa…
-Non so neanche una virgola di pedagogia…dove vado?- (Poi ovviamente l’ho studiata sonoramente)
Poi qualcuno mi accende mille luci attorno, e vedo tutto a 360°.
Con lei ho scoperto che la scuola non era come l’avevo vissuta io…ho scoperto che la scuola poteva essere animata da tantissime voci nuove e innovative che parlavano agli insegnanti fin dagli anni ’70: bastava ascoltarle.
La scuola era attenzione alla singola persona nella sua interezza e nei suoi talenti, la scuola era laboratorio continuo, la scuola era una creazione da realizzare insieme ogni giorno.
All’ombra di un fico, a casa sua, in aperta campagna, con le formiche che giravano sui quaderni, ci parlava di flessibilità dell’orario, della classe, dei gruppi a classi miste, di brain-storming, di apprendimento attraverso il gioco, di apprendimento cooperativo, di didattica laboratoriale, di attività motoria utilizzata per conoscersi, per fidarsi dell’altro.
A volte, venendo da una cultura scolastica all’antica, pensavo: “Avrò fatto bene a scegliere lei?”
Era così “rivoluzionaria”: – Dovete far alzare i bambini dai banchi per la curiosità e lasciare che si avvicinino…perché nel momento in cui si alzano, hanno deciso di capire –
Ho fatto bene a scegliere lei.
Ci parlava della legge 517 /1977, una legge grande alla quale la scuola italiana deve tanto in termini di quella tanto decantata “inclusione scolastica”.
“Titolo I,2 Ferma restando l’unità di ciascuna classe, al fine di agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la promozione della piena formazione della personalità degli alunni, la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche integrative organizzate per gruppi di alunni della classe oppure di classi diverse anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni. Nell’ambito di tali attività la scuola attua forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicaps con la prestazione di insegnanti specializzati assegnati ai sensi dell’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 31 ottobre 1975, n. 970”
Da qui nasceva l’organizzazione modulare, quella che dava i tempi e le risorse per l’aiuto individualizzato, quella che creava la didattica per piccoli gruppi, quella che aveva eliminato una cultura scolastica emarginante…quella che adesso non è più garantita e se vive ancora è solo merito delle persone.
Ci parlava poi per citazioni di grandissimi pedagogisti, insegnanti, psicologi dell’età infantile che non dimenticherò: Franco Frabboni che si è sempre posto fortemente contro la didattica nozionistica, che ha sempre parlato di interdisciplinarità, che ha sempre sostenuto la ricchezza delle diversità nella scuola.
Un suo articolo riporta “…la scuola mai deve abbassare la guardia da un’idea guida di natura democratica e civile: il dare di più a chi ha di meno.” Ecco chi è Frabboni…come può non ispirare un insegnante che ci crede? Hai voglia a fare riforme!
E poi Bruno D’Amore che ha cercato in ogni modo di scardinare la staticità dell’insegnamento della matematica.
Voglio arrivare ad un’idea, ma per farlo devo dire anche un’altra cosa: ci sono nel Web siti creati da insegnanti che regalano letteralmente la loro professionalità a chi lo chiede, mettendo in rete materiali, conoscenze, esperienze fantastiche dando senza criticare nessuno. Ci sono professori che realizzano con i ragazzi oggetti ed esperienze meravigliosi. Ci sono insegnanti che ci mettono tutto il cuore per fare il proprio lavoro.
Abbiamo nella psicologia, nella pedagogia, nella didattica italiane una bibliografia infinita che da 40 anni ci spinge al cambiamento, all’apertura della scuola verso l’esterno…e in tanti lo stanno facendo!
Il fatto che si accavallino riforme su riforme e che dall’alto si mettano in luce soprattutto gli aspetti negativi della nostra scuola un po’ mi intristisce….
Modelli europei che insegnano attraverso test e tesine hanno i loro pro e i loro contro, ma mantengono la loro identità. Modelli americani incentrati sui test e sulla “creazione” di una gerarchia di scuole, che prima vengono esaltati e poi demonizzati dagli stessi che li hanno creati in un periodo lampo… (leggi qui)
Tutto ciò fa riflettere. Dobbiamo tutti riflettere.
Noi italiani che tanto puntiamo alla conoscenza e alla comprensione profonda, che facciamo ancora parlare i nostri bambini a scuola, “noi che…le eccellenze non ci bastano…vogliamo tutti al traguardo”….Noi siamo così sbagliati?
La nostra creatività italiana c’è ancora e si muove in un sottobosco che (forse fa comodo), deve rimanere tale?
La nostra scuola è bella perché è vivace, perché si nutre di voci nuove, di entusiasmi importanti e perché non si fissa sui modelli degli altri.
Non andiamo troppo a cercare il bello altrove.
Certo che togliendo risorse umane, lasciando come sono carenze strutturali, decantando modelli europei dove la scuola occupa il livello che merita, riesce facile smontare il castello.
Continuiamo oppure iniziamo (dipende dal punto in cui siamo) a dare valore alla nostra scuola.
Non abbiamo i fondi? Sono anni che andiamo avanti senza quasi un soldo.
Ma ancora la scuola INSEGNA e IMPARA. E se non lo fa per merito dei soldi…di chi sarà il merito? Di chi ci crede, insegnanti, genitori e bambini… non certo di chi paga.
Ylenia Agostini