Ultima modifica 20 Aprile 2015
Per ricordare, per non dimenticare gli orrori patiti da una moltitudine di persone, senza loro colpa, per pregiudizi razziali o di genere durante quegli anni in cui una distorta, delittuosa concezione di una presunta supremazia ariana ha agito in maniera crudele concependo metodi disumani per eliminare intere etnie.
Certo che, per numero delle vittime, l’attenzione e la memoria è limitata al genocidio del popolo ebraico lasciando nel quasi oblio quello degli zingari, degli armeni e degli omosessuali.
La caccia all’ebreo, con la deportazione nei campi di concentramento e assassinio, perché di questo si tratta, non è nata nel primo novecento, ma ha origini lontane, si perde nei meandri di una storia mai narrata nella sua realtà, distorta com’era dai pregiudizi religiosi.
Il popolo che ha ucciso Gesù sulla croce, il popolo deicida, così era chiamato dai tempi in cui il cristianesimo era diventato la religione mediterranea per eccellenza, dal giorno in cui erano scomparsi quella moltitudine di dei che affollavano il parnaso sostituiti da quel Dio che gli ebrei avevano, da sempre, venerato, ma che non avevano riconosciuto in Gesù il figlio prediletto.
Gli ebrei, secondo le loro profezie attendevano un capo, forse un condottiero, che li avrebbe portati a regnare sugli altri popoli, che avrebbe portato la supremazia di Israele sul mondo conosciuto.
Così non era stato, Gesù predicava un mondo di pace, di fratellanza, deludendo le antiche aspettative.
E il popolo ebraico era stato condannato, anni dopo la morte di Gesù, accusato di deicidio e aveva dovuto abbandonare la sua terra ed emigrare altrove, fuggire altrove, ripararsi altrove.
Non aveva trovato accoglienza nei luoghi lontani, ma disprezzo e privazioni.
Non poteva possedere nulla che fosse tangibile, non terre, non case.
Nessuno avrebbe acquistato nulla da loro, non cibo, non stoffe, abiti che, comunque, loro non avrebbero potuto tessere, cucire o preparare.
Nulla che non fosse denaro, perché quello non era quantificabile, sfuggiva agli occhi di chi era loro intorno, denaro che loro non ostentavano, anzi, nascondevano con cura le loro ricchezze per paura di attirare l’attenzione pubblica.
Vivevano perciò miseramente, ma di usura.
E non c’è nessuno più disprezzato degli usurai, ora come allora, soprattutto disprezzato da chi doveva ricorrere ai loro prestiti e che ne era perciò debitore.
Questo in tempi lontani, a poco a poco le ricchezze acquisite in un modo mai dimenticato e gli allentamenti delle restrizioni religiose, la riduzione del fondamentalismo nelle anime cristiane, avevano permesso al popolo ebraico sparso nel mondo di vivere, di poter possedere altro che il solo denaro.
Alcuni sono diventati grandi banchieri, altri si sono dedicati a professioni e mestieri diversi, ma, la maggior parte di loro, viveva, e tutt’ora vive, in un quartiere delle città a loro riservato: il ghetto e anche per le ricchezze incommensurabili di molti di loro, invisi a gran parte della restante popolazione.
Sono ed erano sempre in attesa del profetizzato Messia che li avrebbe riportati nella loro patria, nella terra promessa.
Così non hanno pensato di trasferirsi in territori vergini, come l’America o l’Australia, dove avrebbero potuto crearsi una nazione, come hanno fatto per esempio i mormoni e i padri pellegrini, dove praticare tranquillamente la loro religione e i suoi dettami nella vita di tutti i giorni, no… loro attendevano e attendono ancora.
Così, terminata la guerra, tutti i popoli vincitori, consci dell’orrore e delle persecuzioni sopportate dal popolo di Israele, forse anche su qualcosa più di un suggerimento dei ricchi finanziatori ebrei, hanno deciso di porre fine alla diaspora e riportare in Palestina gli ebrei che lo avessero voluto.
Peccato che, nei secoli, quel territorio fosse stato occupato da popolazioni musulmane, di origine araba per lo più, che male, molto male, hanno preso questa decisione, considerando l’arrivo degli ebrei una vera e propria invasione, come avrebbe fatto qualunque popolo che, per decisione altrui, fosse stato espropriato della terra sulla quale viveva da secoli e che, neppure nei tempi più lontani, era stato causa della diaspora.
Peccato, inoltre, che lo stato di Israele fosse, ed è, uno stato confessionale, uno stato le cui leggi sono strettamente legate alla religione, diversa e conflittuale con i dettami della religione del popolo ivi residente alla quale le leggi sono anch’esse strettamente legate.
La conseguenza è che nei quasi 50 anni dall’insediamento non c’è stato un attimo di vera pace in quei territori.
Tutti hanno torto e tutti hanno ragione e nessuno pensa alle ragioni dell’altro, perciò ha prevalso la forza e la guerriglia, gli attentati e i kamikaze.
Solo perché quei territori sono lontani, forse noi sottovalutiamo il problema e ricordiamo il 27 di gennaio di ogni anno, o meglio, ci fanno ricordare gli orrori di un passato che, a parole, diciamo che non debba mai più tornare, ma…..
Ma rigurgiti di antisemitismo sono ancora vivi nella nostra vecchia Europa e non solo.
Certo i deliranti pensieri di supremazia e prepotenza dell’ epoca hitleriana sono presenti solo in pochi facinorosi, la maggioranza non tollera il solo pensiero di perpetuare gli orrori del passato, ma la sottile devastante persistenza del rifiuto di riconoscere valore a culture diverse, così come l’imposizione della tolleranza verso abitudini e modi di essere diversi dai propri, anche quando conflittuali, quando l’accoglienza viene confusa con l’accettazione passiva, quando la testardaggine nel perseguire le proprie abitudini non adattandole agli usi del luogo in cui si vive, non capendo e non volendo capire il mondo che ci circonda, il giorno della memoria è inutile, limitato e, sopratutto, non è di monito ne di insegnamento.
È troppo facile, descrivendo gli orrori, le camere a gas, gli assassini, le torture, la disperazione, la sopraffazione, la crudeltà di quei campi di concentramento e di morte, dei rastrellamenti, vivi nelle parole dei pochi sopravvissuti suscitare disgusto delle azioni, raccapriccio e condanna.
Ma insegnare a capire il perché di tali obbrobri, non liquidandoli come le azioni di un pazzo crudele che, comunque, ha trovato seguaci non solo nel suo popolo, perché altri si allearono con lui, condividendone il pensiero e altri sono venuti dopo, altri che non hanno perseguitato gli ebrei, ma popoli confinanti o i loro stessi sudditi, è essenziale.
Ricordiamo la Risiera di San Sabba, i Gulag, le foibe i massacri africani e, quello che successe nella deflagrazione della Jugoslavia.
Ma sappiamo bene che non è stata, quella jugoslava, l’ultima espressione della prevaricazione violenta ed assassina, che continua e della quale non si vede la fine.