Ultima modifica 7 Novembre 2017

Una delle favole mitologiche che esistono nella genitorialità adottiva, ma anche in quella biologica, è quella relativa all’immediato attaccamento dei bambini nei confronti dei genitori adottivi e viceversa.

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È una visione un po’ cinematografica da fine ottocento, che risale a quando c’era la possibilità di scegliere un bambino girando tra fra le corsie di un istituto e magari uno dei bimbini tendeva le braccia verso l’adulto che passava.

Si leggeva questo comportamento, assolutamente casuale, come una fantomatica scelta del bambino stesso verso quell’adulto pensando che, con tale gesto, esso venisse riconosciuto come genitore in maniera immediata quasi magica. Si credeva inoltre che questo potesse bastare per creare l’attaccamento, fra genitori e figli, duraturo e positivo per sempre… un po’ come nelle favole appunto!

Questa convinzione si ha anche con la nascita biologica qualora si pensi che basti attaccare il nascituro al seno della madre per creare un rapporto madre-figlio perfetto e inossidabile, che tutto dipenda da questo imprinting che fa si che si crei un rapporto aprioristico e durevole.

Ora, sebbene sia oggettivo che un primo riconoscimento tra genitore e figlio si crei durante il primo incontro, sia esso avvenuto in una genitorialità biologica o in quella adottiva, il fatto che si stabilisca un attaccamento tale che porti ad un innamoramento istantaneo reciproco è una delle cose meno reali che si possa pensare. È fondamentale demitizzare alcune idee che si creano nell’immaginario collettivo. Durante il primo incontro ci si può piacere, ci può essere uno scambio, nasce sicuramente qualcosa ma ci sono tantissime altre cose che influenzano il rapporto genitore-figlio e tante altre ne dovremo affrontare prima che quell’attaccamento si crei realmente. Ma – la costruzione del legame con il figlio è frutto di un investimento che dura anni, come giustamente spiega il Dott. Boienti , psicologo che ha tenuto una conferenza sul tema che passa attraverso l’affetto, l’amore, la presenza, l’accudimento e l’accudimento fisico-.

E, per smitizzare un’altra convinzione di molti genitori, è che sia più importante la qualità del tempo piuttosto che la quantità, meglio del tempo, anche poco, ma ben passato. Questo è decaduto da quando si è visto che invece, specie nelle genitorialità adottive, l’accudimento, che è uno dei capisaldi per creare un attaccamento funzionale, passa anche attraverso la costanza della genitorialità. I genitori adottivi, dal momento in cui avviene l’incontro con il bambino  devono esserci, devono essere fisicamente presenti per applicare quella genitorialità attiva tramite, ad esempio, l’accudimento fisico, in modo da creare il legame che ancora non c’è, devono insomma investire anche tempo.

Devono esserci, continuare ad esserci   a prescindere dalle risposte che il bambino ci può dare-.

La costanza dell’accudimento materno nei primi 3 anni di vita è ciò che crea la sicurezza nel bambino.

Fare danni durante questa delicatissima fase può portare a disturbi sia a livello evolutivo che a livello relazionale.

Questo particolare periodo nel bambino adottivo, che spesso arriva già grande , spesso è completamente sconosciuto ai genitori. La mancanza di informazioni su questo periodo può rendere più difficile per i neo genitori adottivi prevenire, o anche solo preventivare, tali disturbi in questi bambini. È un po’ come avere una casa e non sapere che tipo di fondamenta essa abbia! Questo però non deve spaventare ma solo rendere consapevoli i genitori adottivi della necessità di tener conto del fatto che ci possa essere stato un “danno strutturale” e che tale danno che vada affrontato con le adeguate “riparazioni”.

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Questa è la principale differenza tra una genitorialità adottiva ed una biologica; non tanto la possibilità che in questi primi tre anni di vita al bimbo siano stati fatti o meno dei danni, anche un genitore biologico può farne, ma che la probabilità che questo sia accaduto sia più alta e che quindi bisogna essere preparati per intervenire adeguatamente.

Già l’abbandono, di per sé, è una ferita dura da portarsi dentro ma questo non implica che il bambino debba necessariamente aver subito traumi tali da interferire con vita futura. Questo “essere in allarme” deve anche far accettare il fatto che l’amore da solo non basta per riparare gli eventuali danni già presenti ma serve una costante attenzione e un costante investimento sulla relazione genitore-figlio affinché si instauri quell’attaccamento necessario per delle relazioni stabili e felici.

Elisabetta Dal Piaz

Riminese trapiantata per amore in Umbria da ormai 18 anni. Ex dietista e mamma attempata, di due fantastici figli del cuore che arrivano dal Brasile. Ma il tempo passa e i figli crescono (e non sia mai avere mamma sempre fra i piedi) ho ripreso a studiare e sono diventata Mediatore familiare, civile e commerciale. E a breve...mediatore penale.

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