Ultima modifica 4 Agosto 2020
Il prossimo lunedì come ogni 19 Marzo, giorno di San Giuseppe, si celebrerà la Festa del Papà.
L’origine della festa risale agli inizi del Novecento negli Stati Uniti, dove si celebrava a giugno.
Mentre la data è rimasta invariata in molti paesi, come in Francia, in Italia, si decise di spostarla al 19 marzo, in occasione della Festa del padre di Gesù, protettore dei falegnami, dei poveri, degli orfani e delle ragazze nubili.
E allora, vorrei riflettere su cosa voglia dire diventare padre grazie ad una PMA.
La relazione che si viene a creare tra un padre e un bambino nato grazie a tecniche riproduttive è in genere molto profonda.
Sgombro subito il campo da possibili malintesi.
Con molta probabilità lo sarà anche la relazione tra un padre e il figlio concepito in modo naturale, ma, conoscendo il legame tra diversi padri diventati tali grazie a PMA e i loro bambini, è di questo che oggi vorrei parlare.
Questi ultimi sono papà “high care”, vale a dire con alto tasso di cura nei confronti dei propri figli.
E’ riscontrato infatti che i bimbi nati da PMA sono molto curati e particolarmente seguiti dai loro padri rispetto agli altri bambini. Indipendentemente dal fatto che il problema dell’infertilità sia femminile o maschile.
Immagino che quest’attenzione particolare sia dovuta in parte al fatto che sono cambiati i ruoli all’interno della coppia, più interscambiabili di un tempo. In parte nel fatto che, i papà provetta, proprio come le mamme, avendo scontato le innumerevoli difficoltà del concepimento apprezzano la propria paternità in modo profondo e totale.
C’è molta letteratura in tal senso.
Sembra che i padri PMA siano molto, molto più presenti nella vita del bambino e nelle scelte inerenti ai suoi primi anni di vita, tipo la scelta del nido, del pediatra, o dei libri da leggere rispetto ai padri dei bambini nati naturalmente.
Mentre per le mamme PMA il rapporto con il loro bambino sembra essere più complesso.
Da una parte lo ritengono “più prezioso” e in un certo modo anche più vulnerabile, dall’altra, ritengono che, avendo passato sia mamma sia bambino, tutto quello che hanno vissuto per essere ciò che sono l’una per l’altro, entrambi siano invincibili”.
Diversi studi hanno messo in evidenza come in ogni cultura, la capacità generativa è trasmessa di madre in figlia.
Questa capacità è invece messa a dura prova nella donna infertile e la propria madre le rimanda l’immagine della propria incapacità a generare.
Ciò che è messo in crisi è il concetto di trasmissione psicologica trans generazionale.
In poche parole il passaggio del testimone tra se stessi e il proprio figlio, o meglio, il proprio futuro.
Allo stesso modo come per le madri anche per i padri le “rappresentazioni” di sé come genitore sono più fragili e incerte nei padri PMA che nei padri non PMA. Anche dopo aver ottenuto la gravidanza, anche dopo lo nascita del figlio, i padri PMA appaiono ancora molto coinvolti dalla complessità del percorso medico affrontato e dalla sofferenza per la ferita narcisistica dell’infertilità, che sembra non potersi rimarginare (soprattutto se l’infertilità è maschile) e molto attenti alla cura del bambino un volta nato.
Indipendentemente da come sia stato concepito il proprio figlio, sta cambiando il ruolo dei papà all’interno della famiglia.
Sta crescendo il numero dei papà (in ambito internazionale, più che in Italia), sempre più attenti e presenti nella vita dei propri figli.
Cambiano pannolini, si alzano la notte, li accompagnano al nido, giocano con loro, cucinano per loro e fanno la spesa.
Hanno compagne e mogli che lavorano come loro e si dividono i compiti domestici.
Questa trasformazione ha ragioni profonde e complesse di ordine sociale, economico e psicopedagogiche.
La sociologa Tiziana Canal autrice di “Paternità e cura Familiare.
Quando il lavoro è condiviso” (Isfol 01/2012) parla di rivoluzione della paternità facendo un vero e proprio identikit del papà moderno e afferma che “dietro a un bravo papà c’è una grande donna”, mettendo in luce come ogni cambiamento nella coppia sia dovuto più alla donna che all’uomo, secondo determinate variabili. In altre parole sarebbero più importanti le caratteristiche della donna rispetto a quelle dell’uomo nel cambiamento in atto, caratteristiche legate al mutamento delle condizioni sociali che determino l’ “allontanamento” della madre dal ruolo esclusivo di “allevatrice” che comporterebbe un’ assunzione di responsabilità maggiore da parte dei padri nella crescita dei propri figli.
Malgrado questa innegabile tendenza, diventare padre grazie ad un percorso di procreazione medicalmente assistita rende il genitore indubbiamente più consapevole del ruolo che andrà a sostenere. Ciò che rende diversa una paternità naturale da una in provetta non è certo il figlio nato grazie a questa tecnica, i bimbi nati da una fecondazione medicalmente assistita sono esattamente uguali a quelli concepiti in modo naturale, ma la fatica e le difficoltà del concepimento fanno del desiderio, del sogno, le basi per la consapevolezza della paternità. Ciò non garantisce la buona riuscita di un padre rispetto a uno che magari non ha desiderato “esserlo” eppure lo è “diventato”.
Ci sono dei padri stupendi anche tra coloro cui un figlio è capitato per caso.
Ma vedere un uomo che arriva alla PMA, impreparato, disorientato, spaventato, ferito, senza sapere come reagire e malgrado ciò riuscire a farsi e fare forza alla propria compagna, proseguendo con tenacia in un percorso che, il più delle volte, non cerca, ma affronta, mi fa credere che farà del tutto per essere per suo figlio, un uomo migliore.
E allora, auguri a te che cerchi tuo figlio e non lo hai ancora raggiunto;
A te che, almeno una volta ti sei addormentato con lui, ninnandolo;
Te che sogni di tramandargli la tua fede calcistica, la passione per le cose in cui tu credi, la speranza che aspetti la mamma per farsi cambiare il pannolino;
A te che piangi la prima volta in cui ti dice, ti voglio bene, papà;
Te papà, che non ci sei più e non sai quanto sia bello tuo nipote;
Auguri a tutti i papà.