Ultima modifica 23 Ottobre 2019
Chi lo sa se la mamma che ha gettato quel bambino dal balcone di casa sua sapeva che in Italia la legge consente il parto in anonimato.
Perché sì care mamme, il parto in anonimato è un diritto di tutte le donne
Essere madri è un’esperienza magnifica. Un modo di vivere una vita al di fuori di ogni possibile spiegazione.
Ma la cronaca di questi giorni, e di cronache così purtroppo se ne sentono sempre e ovunque, ci conferma che la maternità non è sempre cercata, voluta.
Che la maternità non è evidentemente per tutte.
In pochi giorni due bimbi abbandonati. Di più, proprio gettati come sacchi di immondizia.
E qui e là ho letto di ospedali che hanno cominciato a pubblicizzare le culle della vita.
Ruota degli esposti, culla della vita, insomma un modo per consentire alle mamme di non abbandonare il proprio figlio appena nato per strada, ma di consegnarlo a chi può prendersene cura.
Peccato però che invece di pubblicizzare questi metodi, sicuramente efficaci ma secondo me superabili dalla legislazione, si potrebbe pensare di rendere un servizio pubblico più consono alla circostanza.
Spiegando che in Italia esiste, ed è tutelato dalla legge, il parto in anonimato.
Dice il sito del Ministero della Salute:
“La donna che non riconosce e il neonato sono i due soggetti che la legge deve tutelare, intesi come persone distinte, ognuno con specifici diritti”.
Con il DPR 396/2000 infatti lo stato Italiano ha legiferato in materia di parto in anonimato.
La legge consente a tutte le donne che hanno partorito di non riconoscere il proprio figlio.
E che questo possa essere lasciato nell’ospedale dove è nato.
Il bambino avrà garantita ogni assistenza, e la madre resterà per sempre segreta.
Parto in anonimato. Cosa dice la legge
In molti ospedali d’Italia esistono centri che consentono un percorso a supporto delle donne che non vogliono riconoscere il proprio figlio alla nascita. Il parto in anonimato consente a madre e neonato l’attuazione dei propri diritti.
Al neonato, riconosciuto dallo stato come “persona” vengono assicurati tutti gli interventi per garantire la dovuta protezione.
Entro 10 giorni dal parto in anonimato, la struttura ospedaliera, attraverso i suoi operatori, dovrà dichiarare la nascita del neonato.
Il DPR 396/2000, art. 30, comma 1 recita:
“La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata”.
L’atto di nascita conterrà dunque la dicitura : “nato da donna che non consente di essere nominata”.
Il diritto a rimanere una mamma segreta prevale su ogni altra considerazione o richiesta.
Questo principio deve essere scritto a chiare lettere.
Le donne devono sapere che la legge tutela ogni cittadina che non voglia tenere un figlio.
Devono sapere che c’è un’altra via oltre a quella di abbandonare un bambino appena nato. O peggio gettarlo dal balcone.
Il neonato non riconosciuto viene immediatamente segnalato alla Procura della Repubblica.
Questa procedura consente “l’apertura di un procedimento di adottabilità e la sollecita individuazione di un’idonea coppia adottante” dice la legge.
Pensate quante famiglie in attesa di un bambino da adottare potrebbero essere felici di prendere in braccio un neonato a pochi giorni dalla sua nascita.
Con il parto in anonimato inoltre qualsiasi segnalazione o comunicazione alle autorità giudiziarie consente di omettere ogni elemento identificativo della madre.
La legge prevede anche casi particolari, come l’accesso alle informazioni, o la formalizzazione del riconoscimento successivo.
Ma a noi oggi premeva focalizzare l’attenzione di tutte le donne sul parto in anonimato. E magari pensare di aver dato a qualche donna nel mondo il consiglio più giusto.