Ultima modifica 28 Aprile 2021
Ravenna. Anno Domini 2019
Sul muro di un liceo spunta una scritta a grandi caratteri. “Il preside è gay”
La prima reazione del dirigente è un’alzata di spalle, come a voler dire che poco gli importa di quell’epiteto che peraltro, sebbene non sia importante, non lo riguarda.
Poi gli si accende una lampadina educativa e decidere di non far rimuovere la scritta.
“Resti lì come pietra d’inciampo per l’intelligenza umana“
In gergo tecnico pedagogico significa trasformare un vincolo in una risorsa.
Ma per chi non è del mestiere si può semplificare nel tentativo di trasformare un comportamento negativo in uno stimolo alla riflessione, perché è la motivazione di questa scelta a dare il senso.
“Ciò che offende è che uno studente abbia pensato questa condizione come un’offesa“
Insomma: per questo preside (illuminato) essere gay non è una condizione di inferiorità. Ma perché quello studente (normale, direi, a sentire i discorsi che ascolto quasi ogni giorno a scuola) può aver pensato che tacciare qualcuno di omosessualità possa essere un insulto?
Per un condizionamento sociale.
Uno stereotipo che ci portiamo dentro da sempre, quello della paura del diverso.
Quello strano meccanismo per cui attraverso l’idea di un singolo individuo si influenza la possibilità di pensiero di qualcun altro.
Non è mia intenzione, in questo momento, aprire una discussione sulle convinzioni e i principi dei singoli ma credo sia importante tenere sempre in considerazione che il modo in cui si parla con i ragazzi è una questione delicata.
Perché, in educazione, le parole pesano come macigni.
Ed è responsabilità di ogni persona (in particolare di ogni adulto) che vengano pensate prima che escano dalla bocca. Esprimere il proprio pensiero è un diritto ma l’altra faccia della medaglia è il dovere di non utilizzare le parole per ferire l’altro o per inibire il suo libero pensiero.
Oggi più che mai è importante insegnare ai ragazzi che ogni diritto si accompagna necessariamente a un dovere, in modo che nella loro vita siano in grado di assumersi la responsabilità dei loro comportamenti e pensieri. Perché escano dal loro universo autocentrico e siano in grado di collocarsi nel mondo.
Perché imparino che il Sé non esiste se non in relazione all’Altro da Sé.
E di questo i ragazzi sembrano essere capaci. Come dimostrano le parole che ho letto qualche tempo fa su Rep@scuola, che possono essere di insegnamento a tutti noi.