Ultima modifica 17 Giugno 2023
Una riflessione scaturita dal trailer di Recalcati (un grande indagatore delle nostre voragini sociali e del nostro agire o meno per colmarle): una volta gli insegnanti entravano in classe e piombava il silenzio, come dice lo psicologo, sostenuti dalla forza della tradizione.
Ora la tradizione non fa presa.
L’insegnante è una persona come un’altra, che lavora come un’altra, che deve costruirsi un’autorevolezza home made.
Come?
Come ci si accorge di essere autorevoli?
Come si scorge il limite tra autorevolezza e autorità?
Tante domande che non si riflettono spesso.
Tante domande che, però, ci si deve porre se si insegna.
Dato che non esiste più, come dice Recalcati, un modello ideale visto da dentro (e siamo infatti più insicuri) e da fuori (siamo infatti sotto stretto giudizio di famiglie, politici, associazioni varie), ogni insegnante deve innanzitutto essere persona: non si può recitare una parte, perché non viene più bene.
Se non hai una struttura capace di uscire fuori e mantenerti tale, senza vergognarti di limiti e difetti, non ce la fai.
Se non ci difende la tradizione, ci devono difendere caratteristiche imprescindibili come la coerenza, l’autocritica, la flessibilità e la capacità di fare un passo indietro quando è il caso: forse è questo, paradossalmente, a darci più forza.
Una volta l’insegnante non sbagliava mai.
Ora sbaglia sempre; anzi, potenzialmente siamo generatori di errori.
Errori didattici. Errori pedagogici. Errori-non errori.
Quindi la costruzione dell’autorevolezza passa attraverso la gestione e la correzione di questi o, nella migliore delle ipotesi, nell’evitarli.
Ma siamo nel campo del “Potevamo stupirvi con effetti speciali e colori ultravivaci, ma… ecc…”. I quasi cinquantenni sanno.
Per i primi, gli errori didattici, c’è una soluzione: studiare molto e studiarsi molto.
Per insegnare non basta quasi nulla. Non basta sapere, non basta saper dire, non basta nemmeno il saper fare perché ciascuna di queste competenze è sempre testata sul piano mobile delle menti dei bambini.
Ecco la prima delle aree in cui si deve saper fare un passo indietro: se un bambino non ha capito pur essendo stato attento, non abbiamo ragione noi che “abbiamo spiegato bene”: ha ragione lui che vuole comprendere.
Quindi si torna sul punto, si analizza il percorso che lui ha fatto e si trova la chiave per farlo entrare comunque.
Non sempre la chiave si trova, ma almeno mettersi nella condizione di… è fondamentale.
Gli errori pedagogici sono i più frequenti perché si sovrappongono, si impastano ai precedenti e si aggiungono ad essi.
Se ritorno sull’argomento dopo aver alzato gli occhi al cielo (perché sono umana e stanca) commetto un errore pedagogico senza muovere un dito e senza nemmeno parlare.
Ora comprendete l’autocontrollo che serve, il quasi annullamento di tutte le valvole di sfogo che ci servirebbero, se si vuole far crescere e consolidare l’autostima dei bambini.
Forse ci aiuterebbe un maggiore distacco per non consumare la pazienza, ma non sempre il momento ce l’agevola, probabilmente perché teniamo anche affettivamente ai nostri studenti… e togliere l’affetto non si può.
Poi se a casa la sera parliamo a lungo con la lavatrice e con la libreria che ci nasconde il libro nuovo, abbiate pazienza.
Gli errori-non errori sono un bel blocco del nostro lavoro e forse sono quelli che ci forniscono il sovraccarico emotivo.
Vengono dal mondo esterno alla scuola e nascono semplicemente dal fraintendimento che all’interno ci siano veramente scansioni orarie statiche, di lavoro a testa bassa. Ciao.
Cioè noi i nostri figli a casa li vediamo: sono capaci di farci perdere la pazienza con intervalli pari al ritmo veloce delle lucine dell’albero.
A scuola va meglio sicuramente, perché il lavoro educativo di squadra tra scuola e famiglia (se ci si crede acquista un valore tangibile) aiuta i bambini a comprendere gradualmente che IO conto come parte di un gruppo per molto molto molto più tempo, rispetto alla considerazione in famiglia.
A scuola comunque si vivono secondi insieme a piccoli e adulti che hanno il loro modo di ascoltare, muoversi, comunicare.
Gestire apprendimento e relazioni non è facile.
“Dai che iniziamo, prendete il quaderno…” e vola un astuccio che arriva sul banco di Manu… Manu si arrabbia, ma anche Giorgio, perché l’astuccio era il suo… “L’ha tirato Carletta peròòòò”
E Carletta “Ma io lo volevo ridare a Giorgio perché Lucrezia glielo aveva preso da sotto il banco per fargli uno scherzo!”
E Lucrezia “Sì, ma lui ieri mi ha perso la gomma che gli avevo prestatooo e non me l’ha ridata”
Entra la collaboratrice : “Maestra al telefono, è la segreteria…”
Questo 50 anni fa non sarebbe accaduto, mentre oggi potenzialmente e a più livelli, accade più o meno quotidianamente.
Un adulto potrebbe spaventare i bambini per fare in modo che non accada più, oppure far comprendere che gli scontri e le ingiustizie possono essere risolti con altre modalità.
Ecco, oggi un insegnante dovrebbe preferire la seconda, per costruire la propria autorevolezza, non di fronte ai genitori, bensì ai bambini.
Con loro, bisogna essere autorevoli.
Quindi se quel giorno mezz’ora è andata per spiegarsi e risolvere e si è persa mezz’ora di matematica, per quanto mi riguarda è un errore-non errore.
E non posso ogni giorno aggiornare il genitore delle nostre pause di riflessione necessarie per crescere.
Ok. Con questo spero di essere stata chiara sugli errori-non errori possibili.
Autorevolezza, con calma, arriviamo!
Bell’articolo. Anche io volevo fare l’archeologa e sono finita come te…he ci sia una connessione?!?
Piacere di leggerti e grazie per apprezzare. L’archeologia mi è rimasta nel cuore. Un po’ ti lascia il desiderio di indagine ed è una bella ricchezza per il mio lavoro. Buona giornata