Ultima modifica 28 Aprile 2021

“Scusa Ale ma, secondo te, quanto sono intelligente?”

Sedici anni appena compiuti, un paio di occhioni azzurri che mi fissavano e la paura di sentire la risposta dipinta sul volto. Questa la domanda che, tra una sclerata per l’ultima litigata con la madre e le disequazioni a due incognite di matematica, mi ha buttato là uno degli adolescenti con cui lavoro qualche giorno fa.

occhi azzurri

Una domanda secca, alla quale occorreva dare risposta. Perché gli adolescenti non domandano mai a caso e non si può certo fare finta di non aver sentito, tergiversare o fingersi morto.

Quando un adolescentE ti pone una domanda tu sei obbligato a rispondere. 

A prescindere dalla difficoltà della questione o dal contesto in cui ti trovi. Altrimenti perdi di credibilità come adulto.

Non che si debba per forza dare una risposta forbita o esaustiva, perché non sempre l’abbiamo. Tanto che alcune volte è più corretto rispondere “Non lo so…” purché in modo sincero.

Molto spesso, però, non è la domanda in sé ad avere senso ma quello che l’adolescente ci sta davvero chiedendo. Ed è a quello che dobbiamo rispondere, con sincerità e attenzione. Consapevoli che la difficoltà è, appunto, di comprendere davvero quale sia il quesito e quale importanza abbia nella relazione che ti lega a lui.

Il tema dell’intelligenza, in questo caso, aveva un valore più ampio perché il ragazzino dagli occhioni azzurri che mi trovavo davanti sa quanto è intelligente. Studia poco ma gli basta ascoltare la lezione in classe per prendere voti più che buoni; sa interpretare ciò che gli altri gli stanno dicendo anche con una buona capacità di leggere tra le righe; è in grado di districarsi nelle situazioni complesse (anche quelle relazionali in un contesto familiare complicato nel quale molti di noi adulti annasperebbero). Insomma: è intelligente. Molto.

Cosa mi stava chiedendo allora?

In quel preciso momento storico (al netto della relazione che in questi anni abbiamo faticosamente costruito, tra due passi avanti e uno indietro) mi è sembrato che il quesito fosse un altro e l’ho interpretato in quel modo.

“Scusa Ale ma, secondo te, cosa sono capace di fare?”

costruire il futuro

Non una domanda banale ma, anzi, di straordinaria importanza. Perché in quella frase stava rinchiusa, secondo me, una ricerca di riconoscimento di ciò che crede di essere insieme a un tentativo di analizzare le possibili strade da seguire. A poco è servita provare a mascherarla con la scusa del test per il Q.I. trovato sui social per confrontare un numero con un altro. La questione era tutt’altro che delicata, proprio perché il ragazzo è consapevole delle sue capacità.

Solo che non sempre le vede riconosciute dal mondo che lo circonda. O, più facilmente, non riesce a identificarle da solo. Non gli è bastato avere una risposta dal test sui social con un numero superiore alla media (o confrontarlo con il numero che ho ottenuto io, sperando [o temendo] che fosse superiore).

Aveva bisogno di capire, in modo un po’ più preciso, quale fosse il suo talento.

O i suoi talenti.

Mi è toccato appellarmi a Gardner (ovviamente senza che nessuno dei due – il ragazzo e il ricercatore di Harvard – lo sapesse) per cercare di spiegargli un concetto molto semplice nella sua complessità. Lo psicologo statunitense, infatti, sosteneva che l’intelligenza non fosse un costrutto quantificabile e raggruppabile numericamente, ma che è composta da diversi fattori indipendenti tra loro

Il numero che era uscito dal test fatto sul social, quindi, non corrispondeva a una misurazione reale.

Secondo Gardner, infatti, i test usati per misurare l’intelligenza sono volti a rilevare soltanto due tipi di intelligenza: quella linguistica (cioè la capacità di apprendere e riprodurre il linguaggio, usandolo in maniera appropriata per esprimersi verbalmente e in forma scritta) e quella logico-matematica (che consiste nella capacità di analizzare i problemi in modo logico, eseguire operazioni matematiche, e indagare le questioni scientificamente, grazie al pensiero logico e deduttivo) ma esistono in aggiunta altre cinque forme di intelligenza:

  • spaziale che consta nel riconoscere e utilizzare lo spazio e le aree a esso correlate; 
  • sociale o empatica cioè la capacità di comprendere le intenzioni, le motivazioni e i desideri delle altre persone, permettendo in questo modo di lavorare efficacemente anche in gruppo;
  • introspettiva o emotiva che si caratterizza nella capacità di essere consci dei propri sentimenti e di saperli esprimere senza farsi sopraffare o (per meglio dire) l’abilità di capire se stessi, individuando le proprie paure e motivazioni;
  • corporeo cinestetica (tipica degli atleti, dei danzatori e dei preparatori atletici) è l’abilità di utilizzare il proprio corpo o parti di esso per risolvere i problemi attraverso il coordinamento dei movimenti del corpo;
  • musicale che coinvolge l’abilità di comporre, riconoscere e riprodurre modelli musicali, toni e ritmi.

teoria delle intelligenze multiple

Ecco la risposta al suo quesito, che in realtà è più una domanda riformulata e rilanciata.

“Qual è, secondo te, il tuo talento? E come facciamo a scoprirlo insieme?”

Perché, in fondo, il viaggio dell’educazione non è dare risposte ma ricomporre le domande dotandole di senso così che aprano nuove strade di riflessione. Come a dire che l’autonomia non è la capacità di fare tutto da soli ma la capacità di riconoscere la diversificazione delle dipendenze che ci rendono abili a sapere a chi rivolgerci in caso di bisogno.

Credo che la non-risposta sia piaciuta al mio giovane dagli occhi azzurri perché ha sorriso, ha ricominciato a fare gli esercizi di matematica e ha smesso (almeno per quel giorno) di fare domande.

Ma sono certo che non è finita qui: ho aperto un vaso di Pandora di dubbi e pseudo-certezze da mettere in ordine e ho sentito il rumore del criceto che ha nel cervello che correva veloce sulla rotella alla ricerca di connessioni tra i differenti tipi di intelligenza (o di talenti). E so che continuerà a martellarmi per approfondire la questione.

Alla fine sono soddisfatto di ciò perché è proprio questo il compito di un adulto con un adolescente: crescere insieme.

Al netto della fatica.

 

 

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