Ultima modifica 18 Gennaio 2017
“Two is megl’ che one”, recitava una vecchia pubblicità del gelato.
In questi giorni sto seguento un talent (Dance, Dance, Dance, tanto per dire) per cui dei VIP ma non ballerini devono affrontare il palcoscenico con delle prove di danza. Mentre nella prima puntata erano in coppia con un compagno (altrettanto non ballerino e quindi in difficoltà come loro stessi), nella seconda si sono trovati in una coreografia in cui erano da soli con il corpo di ballo.
Mi ha colpito il fatto che tutti all’ingresso sul palco la seconda volta abbiano dichiarato:
“senza xxx è più difficile, prima se ero in difficoltà mi giravo, incrociavo il suo sguardo e mi davo forza, perchè sapevo che era in difficoltà come me”.
L’unione fa la forza, ho pensato istintivamente e banalmente.
Poi, però, ho fatto un’altra riflessione: persino dei professionisti, abituati al palco e alle sfide ogni giorno, hanno sentito il bisogno di una “spalla” in una situazione in cui erano a disagio.
E’ fisiologico: nei momenti di sconforto o comunque in cui ci sentiamo in difficoltà essere in coppia è molto importante!
E qual è il momento per eccellenza in cui ci troviamo a dover affrontare una prova molto difficile e di cui non sappiamo niente? La nascita di un figlio, bravi!
Vuole il caso (più o meno) che in quel momento si sia proprio in due, e con buona probabilità due affiatati e innamorati (ottima combinazione di partenza!), solo che spesso ce lo dimentichiamo.
Per mille motivi che non sto qui a ricordare, noi donne tendiamo a isolarci in noi stesse a escludere il padre del bambino, convinte di saperne di più, convinte che senza il nostro occhio vigile il mondo crollerà.
Da donna, madre e ossessiva del controllo lo so bene, ma altrettanto bene ho imparato che nei momenti in cui non sapevo che pesci prendere, quando il bambino piangeva disperato senza apparente motivo, o quando non sapevo se era il caso di chiamare il pediatra o meno, mi sono sempre girata a cercare di incrociare quello sguardo che mi dà forza e insieme abbiamo superato tutto.
Con mio marito ci siamo sempre sostenuti, anche se ovvio le vedute divergenti non mancano e neanche le discussioni (si, persino quelle futili e fini a loro stesse), ma questo non ha scalfito la nostra sintonia.
Essere genitori è come un passo a due di danza: lavorare duro insieme per raggiungere una sincronia e un’armonia perfette.
Crescere i figli è il più duro di tutti gli allenamenti immaginabili, ma se si fa da soli lo è ancora di più. Ecco perchè è fondamentale lottare per restare insieme, per non lasciare che le cose si sfascino col tempo. Certo ci sono dei casi in cui questo è inevitabile, ma spesso i rapporti di coppia si logorano per abbandono, per isolamento dei due individui.
Quando nasce un bambino ognuno dà vita a delle emozioni del tutto personali. La gioia immensa del primo istante, del primo sguardo, lascia il posto a cento paure e insicurezze, del tutto personali e ataviche, che sono insite dentro di noi, che ci portiamo più o meno nascoste da tutta la vita. Sono il nostro bagaglio, ma non dobbiamo portarlo da soli. Guardiamoci le spalle, c’è lì la persona che amiamo, che abbiamo scelto per generare e crescere un’altra vita, è lì per noi, spaventata e insicura quanto noi e per fortuna di solito dove un genitore è più debole l’altro è più forte, proprio per compensazione naturale.
Balliamo insieme al ritmo che ci danno i nostri figli, non siamo soli dobbiamo ricordarcelo più spesso. Diamo fiducia al partner, incrociamo il suo sguardo quando abbiamo paura, non dobbiamo dimostrare niente a nessuno, siamo umani e fallibili.
Tutti.
Come dicono sempre a danza: testa alta e sguardo dritto. Se sbagli un passo il tuo compagno ti corregge e andate avanti come se niente fosse, perchè il pubblico non se ne accorge.
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