Ultima modifica 16 Marzo 2016
La mamma di Albert Einsten sarà stata affettuosa? E la donna che ha partorito Leonardo Da Vinci? L’avrà ricoperto di baci e coccole, oppure sarà stata una balia a crescere il suo piccolo genio? Questo non ci è consentito saperlo, ovviamente.
Quello che invece, almeno a sentire gli studiosi della Washington University School of Medicine di St. Louis, sarebbe un dato certo è che l’affetto materno sviluppa le capacità di apprendimento nel bambino.
Gli abbracci amorevoli e il contatto fisico prolungato e affettuoso renderebbero in poche parole più intelligenti. L’ippocampo sarebbe stimolato dalle manifestazioni di affetto al punto tale da sviluppare la memoria e gestire meglio lo stress.
Ciò avverrebbe già con il bonding prenatale, cioè la pratica sempre più diffusa anche fra i futuri papà di interagire in modo affettuoso con il bebè accarezzando il pancione, esercitando leggere pressioni sul ventre, e parlandogli in tono dolce e affettuoso, sarebbe efficace soltanto se a praticarlo è la mamma.
Detto brutalmente: per quanto si sforzi di essere presente, il papà avrebbe una scarsa influenza sulla formazione psichica del bambino durante il primo anno di vita, mentre la mamma sarebbe, con le sue stimolazioni emotive, l’unica fautrice dell’intelligenza del suo cucciolo, perlomeno durante i primi 12 mesi.
Questa è una vera e propria rivincita delle mamme chioccia: ogni volta che qualcuno vi accuserà di eccedere nelle manifestazioni affettuose con il vostro tesoruccio, replicate che lo state facendo per assicurargli facile accesso in una prestigiosa università. Ma occhio a non esagerare: coccolare i figli per sviluppare l’intelligenza è un conto, rimbambirli un altro. Non vogliamo che un domani qualcuno vi accusasse di aver tirato su dei “bamboccioni”, termine molto di moda in questo periodo, nonché “sfigati” e “monotoni”.
Cancellieri, Martone e Monti docet…