Ultima modifica 5 Agosto 2019
Tempo fa scrissi un articolo sulla rabbia degli adolescenti adottivi.
Fra le risposte ho trovato lo scritto di una ragazza adottiva, ora adulta, che mi fa partecipe del suo vissuto raccontandomi la sua esperienza con questa rabbia che spesso travolge chi, come lei, ha vissuto questo percorso.
Ne approfitto per risponderle pubblicamente rubando un po’ di tempo anche a voi tutte che leggerete perché non si può non fare spazio a chi ci dona parte della sua vita.
Manuela si racconta così:
“Sto combattendo con questa rabbia funesta, cieca e sorda da tutta la vita.
Ho 37 anni, sono in terapia da più di 20 e solo adesso sto forse riuscendo a non annaspare. Ad intravedere qualcosa oltre la mia diversità, che mi ha reso schiava del dolore ma anche soldato instancabile. Sono sempre stata amata, rispettata e ascoltata, ma è anche vero che esistono domande senza risposta. Accettarlo spesso mi sembrava impossibile e, ancora tutt’oggi, a volte così mi appare, ma sto iniziando a comprendere che solo il perdono riesce a rendere liberi. Non so, se riuscirò mai ad essere così saggia e forte per trovarlo dentro.
Ci sto lavorando, spesso la stanchezza prende il sopravvento, ma finché avrò forza, cercherò, perché è l’unica cosa che ho capito di saper fare.
La notte mi sveglio e mi chiedo:” e se il perdono fosse solo una scusa per semplificare il tutto, per giustificare l’ingiustificabile?”
Poi mi ricordo che la rabbia ha governato tutta la mia esistenza.
Senza lasciare altro e mi dico, che questo non è più possibile, che non lo voglio più, io voglio essere anche altro, ne ho bisogno, ne ho diritto. Quando rubano la tua storia, neanche l’amore quello vero basta a volte, c’è solo nebbia, però credo ancora che una strada per me ci sia, devo e voglio crederlo per forza.”
Che rispondere…
Ad una mamma adottiva
un intervento così
può spezzare il cuore.
Pensare che, nonostante tutto l’amore che un genitore adottivo prova, tutto l’ascolto e l’impegno che ci mette, questo a volte non riesce a sanare nemmeno in parte tutto quel dolore, è devastante. Sì devastante.
Perché uno dei desideri più grandi di un genitore adottivo è quello di farsi carico del dolore del proprio figlio e cancellarlo.
Vorremmo essere tutti possessori di un cuore-lavatrice come quello della famosa lettera. Ma siamo tutti realisti e sappiamo bene che ciò non è possibile.
Certe ferite restano nell’animo di qualsiasi individuo e noi genitori non possiamo far altro che essere custodi di quel dolore. Essere pronti a condividere e accogliere la rabbia che questa ferita può provocare anche dopo anni.
Non avremo purtroppo mai risposte da darvi.
Noi non siamo loro e soprattutto non possiamo sapere cosa li ha portati a fare la scelta di lasciarvi e men che meno giudicarli per questo.
Possiamo però aiutarvi a trovare una strada affinchè questa rabbia non vi distrugga e diventi quella forza che vi trasforma in “soldati instancabili” nella ricerca della vostra identità al di là di tutto.
Quale sia la strada da percorrere per arrivare a questo è così personale che non la si può codificare ma ti posso raccontare quale è la strada che noi, come famiglia, abbiamo scelto e che sembra dare buoni frutti.
In primis il supporto psicologico il più precoce possibile sia a loro che per noi perché diventare una famiglia così di botto non è facile per nessuno.
Poi la ricerca di sostegno di gruppo ed anche questo sempre per loro e per noi.
Confrontarsi e sostenersi fra simili trovo che sia particolarmente utile.
Il sentirsi parte di “un qualcosa” di familiare al nostro vissuto, nel nostro caso, è stato la chiave di volta per cambiare molte cose.
È stato fondamentale per i miei figli confrontare la loro esperienza con l’esperienza di altri ragazzi e ragazze che come loro hanno vissuto l’adozione. Questo ha permesso loro di ritrovare la loro esperienza nell’esperienza degli altri e di sentirsi finalmente capiti ed simili per certi versi ad altri, finalmente non più diversi.
Hanno un gruppo che li sostiene e dentro al quale possono portare ogni cosa, ogni dubbio, ogni vittoria ed ogni sconfitta e questo li rende più forti.
Il confronto fra pari li aiuta a crescere.
Nel gruppo ci sono alcuni ragazzi più grandi, che sono “già passati” attraverso le difficoltà dell’adolescenza e che raccontandosi aiutano i più giovani. Una forma di educazione “peer learning” che funziona molto perché non si sentono giudicati come spesso accade nel rapportarsi con gli adulti.
Forse potrebbe essere utile anche per un adottivo adulto trovare un gruppo di pari e condividere il suo vissuto?
Non so, mi viene da pensare di sì.
Ognuno di noi pensa che ciò che è stato utile per noi forse potrà esserlo anche per gli altri. Quanto al perdono…hai ragione tu cara Manuela, ci vuole tanta, tanta forza e probabilmente potrebbe essere la strada giusta per placare tutta questa giustificabile rabbia che provi.
Non so cosa tu sappia del tuo passato, non so se hai cercato le tue origini, non so molto di te a parte il dolore che senti e che hai condiviso con noi ma ti auguro di riuscire a trovare la strada giusta per superarlo e regalarti la vita che vuoi.
Ognuno di noi merita la felicità quindi non smettere mai di crederci.
Un abbraccio