Ultima modifica 17 Giugno 2023
Dove sta la vera ricchezza?
Nell’omologazione oppure nella diversità?
Sembra scontato. Chi direbbe mai l’omologazione?
Eppure a scuola questo è un tema importante e fondamentale, perché è il grande nodo dal quale si scioglie e si sceglie il cuore della didattica.
A scuola, già dal buongiorno possiamo dire ai nostri studenti come la pensiamo.
A dire la verità, già da dove ci mettiamo, in cattedra o sulla porta, di spalle o di faccia, al mattino, possiamo dire qualcosa ai nostri alunni.
In fondo è rispondendoti dentro alla domanda iniziale che decidi di essere un tipo di insegnante piuttosto che un altro.
È proprio l’incipit di un racconto che si svolge a seconda di come la vedi.
Ecco, io scelgo la seconda: la diversità, se ti impegni a conoscerla e a darle un senso dentro una classe, è il concime di una storia scolastica.
E se ti interessa conoscerla sei lì ad accogliere ed osservare. Ecco la vera ricchezza.
Li guardo ogni mattina perché voglio capire come e perché. Li guardo perché non voglio ripetere gli errori del passato. Perché voglio accorgermi di quanto sono diversi tra loro e di come si rapportano l’uno con l’altro.Voglio scoprire le novità e le sicurezze su cui vogliono contare. Perché voglio saper raccontare come sono: mi servirà. Perché se per puro caso dovessi smettere, perderei come acqua nelle mani tutto ciò che possono fare o pensare di bello. Non posso sganciarmi da quello che sono.
No, non parlo di didattica personalizzata.
Buongiorno… che hai fatto con quel broncio? … Ecco di cosa parlo.
La vera ricchezza è l’interesse verso la persona, verso l’altro.
Questo deve essere un modello che parte dall’insegnante, così come il non gettare cartacce in terra parte dal genitore che insegna a cercare un cestino.
Dove voglio arrivare?
Forse, da lontano, al bullismo.
Forse, da molto lontano, all’accettazione del diverso.
Sapete, a me non piace nemmeno la parola tolleranza da far passare a scuola.
Oh, non mi piace. Sa di distacco. Sa di freddo.
Io ti tollero, sembra voler dire che ti tengo sul limite della sopportazione e lì resti.
E lo so che oggi la tolleranza sarebbe il male minore per come vanno le cose.
E che non lo so? Ma in classe non mi basta.
Io posso tollerare un’azione, una reazione, uno sbaglio. Ma non si tollera una persona.
La diversità non si tollera perché è come se ti ponessi in una posizione di superiorità.
La mia diversità non la puoi tollerare perché anche tu sei diverso.
La diversità per prima cosa ti deve interessare.
E scusate, ma se tutti riescono a sentire l’interesse degli altri e guardarsi in faccia, conoscere i loro problemi, le loro paure, io scommetto che l’indifferenza potrebbe ricevere un duro colpo.
È un lavoro duro e tanto sfugge sempre qualcosa. Sì, sfugge sempre qualcosa.
Ma pensiamo a cosa accade quando si coltiva l’indifferenza reciproca!
Ecco, è qui il punto.
Se per te, insegnante, è fondamentale un modello di studente che guardi solo quaderno e lavagna o Lim che sia, e non ” tolleri” che ci si guardi in faccia, allora scegli una didattica ininfluente nella costruzione di una società diversa e accogliente.
Visto che tutti più o meno vanno a scuola per almeno 10 anni, 5 ore al giorno, direi che come insegnanti potremmo invece fare qualcosa per salvare i nostri giovani, qualcuno almeno, dall’ottusità che ci allontana.
La vita è dura soprattutto per i giovani, o troppo fragili o troppo aggressivi o fragili e aggressivi.
C’è bisogno di starsi vicini e di interessarsi a vicenda.
Proviamoci almeno a scuola.