Ultima modifica 20 Giugno 2019
La riforma della scuola, di cui tanto si parla, avanza nonostante tutto e tutti.
Forse per la prima volta, seguendo passo passo la stampa, mi sono accorta di quanto sia fondamentale la corretta informazione per riuscire a portare fuori dalle mura scolastiche la verità, al di là della politica.
La scuola dei bambini non è politica, è pubblica nell’accezione di trasparente, perché i bambini raccontano e i genitori partecipano.
Poco o niente avviene “di nascosto”. Così dovrebbe essere l’informazione: trasparente come il numero delle volte che un insegnante va in bagno. Perdonate l’esempio.
Parlando dall’interno, posso dire che molti aspetti sono travisati, velati, capovolti, per non dire strumentalizzati a destra e a sinistra secondo i propri tornaconti avulsi da qualsiasi buon senso…quello su cui campa la nostra scuola da un bel po’.
Bene. Gli insegnanti non hanno affatto paura di essere valutati, a differenza di ciò che si dice e si pensa.
Nella riforma si parla della Valutazione dei docenti e fin qui non c’è molto da obiettare, perché è veramente necessario che qualcuno confermi o stoppi ciò che risponde o meno alla nostra professionalità.
Ma, se qualcuno mi deve valutare, che sia un team di esperti in ambito pedagogico-didattico e psicologico, che sappia cosa dice e cosa pensa, in merito al grado di scuola valutato. Qualcuno che si impegni a comprendere non solo il mio lavoro, ma anche la peculiarità di un gruppo classe, senza coinvolgimento alcuno.
Qualcuno che ne sappia almeno più dell’insegnante sulla vita di una classe e tutto ciò che in essa si costruisce a livello relazionale.
L’obiezione la pongo nel momento in cui entrano in gioco il dirigente e 2 genitori nel comitato di valutazione, per diversi motivi.
Il dirigente non viene scelto in base a competenze corrispondenti al grado di scuola e può anche non aver mai messo piede in un’aula di scuola primaria. Come può valutare in modo approfondito la didattica e la gestione della classe?
E i due genitori. Giudicare il lavoro di un insegnante è questione complessa, lunga, da analizzare attraverso periodi di osservazione. Non si tratta di avallare o meno la proposta di un progetto o di un’uscita: si tratta di valutare l’operato di un lavoratore specializzato.
Mi faccio alcune domande: essendoci un unico comitato di valutazione per una scuola, i due genitori dovranno esprimersi anche su insegnanti che non siano dei propri figli: chi li informerà dell’atteggiamento dell’insegnante in classe? Passaparola? Telefono senza fili?
Bene. Con tutto il rispetto che nutro per i genitori come parte essenziale per il percorso scolastico dei bambini, dubito che possano portare notizie oggettive sul valutato.
Quali saranno i criteri?
Poi un piccolo appunto: quale altro dipendente pubblico ha un’esposizione professionale e personale simile a quella degli insegnanti?
Siamo proprio sicuri che questa esigenza di controllo sia così preponderante al fine di migliorare la scuola? Non siamo già abbastanza sotto gli occhi di tutti? Fosse per me, lavorerei volentieri anche sotto le telecamere.
Nella Lectio magistralis, lo scorso giovedì 14 maggio ad Assisi, la Prof.ssa Daniela Lucangeli dice che per la responsabilità che gli insegnanti hanno nei confronti delle menti dei bambini, dovrebbe essere messo a loro disposizione il meglio della formazione disponibile a livello nazionale ed internazionale. Dice che la formazione dovrebbe costituire una specie di rete nello spazio e nel tempo, continua.
Con questo voglio dire, per chiudere il cerchio, che tutto va messo in ordine: tu mi proponi-imponi formazione di qualità – io sono costretta a partecipare – se non traggo giovamento e non lavoro in modo professionale mi metti di fronte una commissione competente che può decidere di impiegarmi in altra attività. Ma cosa in Italia viene messo in ordine? In attesa di esempi…
Se il 50% degli Italiani non riesce a scrivere nella propria lingua senza fare errori gravi, la colpa sarà pure di qualcuno, non credi?
Salve. Ho detto nel pezzo che la valutazione del docente è necessaria perché oltre all’emergenza educativa ne abbiamo un’altra: quella culturale. Non so se ha letto la questione della dealfabetizzazione che nessuno considera e che pure è preponderante. Lo sa che una percentuale altissima di alfabetizzati perde le proprie conoscenze scolastiche per inutilizzo nel corso della sua vita? Cioè finita la scuola non si legge, non si scrive, non si ascolta, non si stimola la logica. Teniamo presente tutto. Grazie per il commento.