Ultima modifica 4 Marzo 2019
Avete letto qualche giorno fa di quel testo scolastico di grammatica che tra gli esercizi aveva una domanda a scelta multipla sul significato di “zitella”?
Zitella: chiariamo subito ai bambini cosa significa.
La polemica si è accesa qualche giorno fa. Tra l’altro appena dopo una precedente che certamente abbiamo sentito in tanti.
Un libro di grammatica per bambini prendeva la parola zitella per insegnare i significati della nostra lingua.
Tra le possibili risposte c’era:
- è una ragazza bella ma monella
- è una donna brutta che nessuno vuole sposare
- è una frittella
E via alle polemiche di quei “radical chic” che gridano al politically correct a ogni costo e sopra tutti e tutto.
Alcuni infatti hanno obiettato: Embé? Sul vocabolario, il significato di zitella è proprio quello.
Non frittella ovviamente.
E già, vero. Sulla Treccani alla voce zitella sta proprio scritto: Nell’uso attuale è riferito soltanto, e per lo più con tono scherz. o spreg., a donne non sposate un po’ avanti negli anni.
Questa dunque è la scuola di oggi che fa rimpiangere quella d’antan (secondo me piccola blogger di provincia).
Riduttiva, mai completa, approssimativa e volta alla velocità.
E questo è il mio primo appunto alla vicenda.
Si, è vero, sui vocabolari ci può anche essere scritto così (non su tutti, non soltanto questo).
Ma mica, direte voi, puoi spiegare ai bambini l’origine e l’etimologia della parola zitella.
Ovvio che in un’ora di grammatica non puoi proprio dire loro che Santa Zita, origine probabile della parola zitella, è la patrona di Lucca. O che forse deriva dal tedesco tsitse.
Mica puoi dire ai bimbi di prima elementare che Boccaccio scriveva io fo questa cavalla diventare una bella zitella.
No, devo soltanto spiegare loro il significato, frettoloso e univoco del lemma zitella.
Come quell’altra storia della mamma che stira e lava e il papà che lavora e legge.
L’avrete sentita immagino.
Un altro scivolone di un libro di testo che, ancora una volta, per insegnare la grammatica, ha tirato in ballo il più classico dei clichè.
In un esercizio di seconda elementare bisognava cancellare un verbo non adatto.
La mamma cucina, stira e tramonta.
Il papà lavora, legge, gracida.
Certamente il papà non gracida (o forse si?).
Ma davvero la mamma non lavora e non legge?
E anche qui, daje co sti radical chic che proprio non vogliono stare a questi paralleli.
Io avrei due cose da dire a questi autori di testi scolastici (che poi, sembrerebbe che dopo questo polverone la casa editrice del libro di quest’ultimo esercizio abbia pensato di ristampare le prossime edizioni senza il testo incriminato).
La prima cosa da dire è: ma davvero non avete altra fantasia dal dover pescare il significato di zitella o i verbi per mamma e papà??
Non potevate fare una domanda a risposta multipla sulla parola “accoglienza”? Dice ma è più complicata. Appunto! rispondo. Allora la scuola a che serve?! A insegnare, a crescere, a educare.
La mia seconda (e ultima) considerazione è proprio questa, al di là della grammatica: l’educazione.
Zitella vorrà pure dire donna brutta non sposata. Tante mamme cucineranno e stireranno certamente più di tanti papà, che invece lavorano e leggono.
Ma il nocciolo sta proprio lì. Educare i nostri figli che non deve essere così.
Che una donna in là con gli anni non sposata non necessariamente è acida e triste perché non ha trovato marito.
E che le mamme lavorano e leggono, e i papà possono anche stirare e cucinare.
E se non lo fai in seconda elementare allora sarà sempre troppo tardi.
Ecco, io la scuola la vorrei così.