Ultima modifica 7 Ottobre 2016
“L’uomo, si sa, è cacciatore”.
Quante volte avete sentito questa che è una delle maggiori espressioni di maschilismo della tradizione, sorprendentemente condivisa da uomini, ovvio, e donne, di tempi passati, ma non troppo, e in alcuni casi contemporanee.
Sorprendente, dicevo, perché, a meno di mentalità aperte e progressiste, chi gode di un abuso tende a perpetrarlo o almeno a far finta di niente, ma chi lo subisce dovrebbe ribellarsi; perché, allora, molte, moltissime, donne hanno sempre giustificato le scappatelle dell’amato marito?
Le ragioni sono molto complesse, affondano le radici nella condizione sociale tradizionale della donna, segnatamente nel suo ruolo all’interno della famiglia e nelle aspettative da soddisfare in quanto a salvaguardia delle apparenze, peraltro persino agli occhi delle altre donne, che pur patendo le stesse sofferenze non sono solidali.
Esistono paesi in cui ancora oggi le donne vengono trucidate per un sospetto tradimento, da noi, almeno in tempi in cui la storia ne abbia memoria, non è mai successo, ma la tortura psicologica costante alla quale le donne per certi versi non è meno distruttiva.
In un sistema governato dall’ipocrisia difficilmente ci si possono aspettare virtuosismi, se da una parte vi è l’uomo “cacciatore”, dall’altra c’è un uomo tradito, ma tranquillo, perché l’importante è che la “sua” donna mantenga il riserbo, anche nei suoi confronti, dell’avvenuto.
Poca, pochissima sincerità.
Per fortuna nella storia è apparso il femminismo a cambiare le carte in tavola, migliorando la condizione della donna, pur tuttavia creando nuovi problemi nell’uomo, omuncolo direi, ferito nell’intimo.
Alle cause del tradimento “carnale” dell’uomo post femminismo, infatti, si è aggiunto il senso di inadeguatezza e sottomissione verso il ruolo più predominante ed emancipato della donna; il tradimento diventa risposta di un altro tradimento, ma questa volta ideologico.
Diventare padri, in questi soggetti, non migliora la situazione. Si aggiunge una ulteriore sensazione di abbandono, in favore dei figli, e di aspettative disattese, tanti, per esempio, lamentano la minore vita sessuale dopo essere diventati genitori, vista come un tradimento rispetto all’immagine data di sé dalle donne fin quando si era solo una coppia, trascurando, più o meno consciamente, che le energie finiscono quando bisogna barcamenarsi tra lavoro, figli e, ancora troppo spesso, affidamento esclusivo del ménage familiare.
Insomma il tema alla fine è scegliere con onestà intellettuale tra ipocrisia ed onestà, meglio un rapporto trascinato alimentato dalla menzogna o lasciarsi per il proprio bene e per quello dei propri figli?
Già, i figli, perché molti sostengono che salvare le apparenze serva anche ai bambini, ma siamo sicuri che ingannare alla lunga sia educativo?
Secondo me i bambini, relativamente alla situazione, sarebbero più sereni avendo due genitori separati, ma felici, piuttosto che due ipocriti pronti a manifestare la propria natura come una bomba ad orologeria.
Insomma, sempre, alla domanda del titolo risponderei: meglio lasciarsi.
G.P. Antonicelli
il femminismo ha veramente migliorato la condizione della donna?
Non saprei…
penso che, da un certo punto di vista, ha soltanto raddoppiato le sue responsabilità e le incombenze…
Il femminismo di per sè ha dato un enorme contributo al riconoscimento di molti diritti fondamentali delle donne, chi ha lavorato in senso contrario, forse, è stata la frangia più estremista del movimento: come spesso accade si è risposto ad un’ingiustizia (il maschilismo) con un’ingiustizia uguale ed opposta, mentre la risposta è sempre l’equità, lasciandosi alle spalle gli errori passati, non commetterne di diversi. È facile diventare bersaglio di critiche ed essere travisati quando si esagera. La mentalità maschilista è instillata anche in molte donne (pensate alla suocera che guarda male la nuora che lascia lavare i piatti al marito, c’è dietro un mondo…), anche per questo è difficile sconfiggerla.