Ultima modifica 17 Giugno 2023

Avevo 18 anni e spiccioli, facevo il classico ed ero contenta di votare per la prima volta.
A casa mia era una cosa importante. Era il diritto più importante.
E a casa di nonno si guardava “Tribuna politica” per sentire ciò che dicevano.
A tavola si parlava sempre di politica, legalità e giustizia, quella che speri tenga al cittadino più che alla ricchezza.
Sullo scaffale della cucina di nonno c’erano le monografie di grandi statisti politici, di uomini che facendo politica avevano guadagnato solo dignità.

Sono andata a votare con l’idea pulita di essere chiamata a decidere.
Ero emozionata dentro la cabina, con la mia matita copiativa, che “la devi restituire, sennò il presidente del seggio può andare in prigione… e non prendere l’altra scheda, ché quella solo quando sarai più grande” (sai di quelle frasi che in momenti del genere, anche se inutili, fanno da sfondo, tanto per mettere il carico da 11 all’emozione)…
“Attenta a non sbagliare la croce, non fare sbaffi, non scrivere niente sennò non vale.”

E a scuola, la prof di storia ci aveva fatto una testa “tanta” sull’andare al voto la prima volta, sulla partecipazione e sulla legalità.

Io ricordo che eravamo orgogliosi, noi diciottenni. Ma parecchio.

E poi il 23 maggio, neanche due mesi dopo, come un silenzio all’improvviso.
Ero lì a guardare l’edizione straordinaria con i miei senza fiatare.
Tutti quei pezzi di strada volati in aria.
Sì. Tutti quei pezzi di strada volati in aria.
E poi l’appello della vedova Schifano “se avete il coraggio di cambiare… ma loro non cambiano”.
Certe cose per un diciottenne sono pietre miliari per decidere da che parte stare.
E io quella donna che piangeva, distrutta, ma essenza della dignità, me la ricordo nitida.
L’anno scorso ai bambini di quinta abbiamo fatto vedere il servizio andato in onda allora e qualche foto. Ne abbiamo parlato, con la stessa emozione di allora.
Legalità e giustiziaQuella mattina dell’anno scorso, la ricordo con grande intensità e con l’idea che il sentire “politico” con la P maiuscola, senza un credo in particolare, si può trasmettere in qualche modo anche a scuola.

Far vedere coi propri occhi e sentire con le proprie orecchie, in quella violenza, la paura della mafia nei confronti della verità, deve essere un dovere per un insegnante di qualunque disciplina.
Senza relegare questi argomenti a progetti specifici e senza farsi limitare dal “programma di storia” che…co non ci arriva o va di fretta.

Io credo che, ad ogni classe quinta, continuerò a parlare e mostrare quel video, perché fin da bambini si può capire.
Non è presto per impegnarsi fino in fondo e non è presto per conoscere quelle persone che, pur sapendo di andare incontro alla morte per un ideale, non hanno cambiato strada.
Perché?

Per spirito di servizio” Disse il giudice Giovanni Falcone in una famosa intervista.
Noi, gli eroi da ricordare, ce li abbiamo.

Facciamo che sappiano quanta intensità possono raggiungere la giustizia e il senso del dovere verso lo Stato.
Dovrebbero imparare a conoscerli prima possibile anche i nostri figli e studenti, perché tanto, a restare sempre in superficie, non ci guadagnano nulla e ci perdono più di quanto possiamo immaginare.
Sarà anacronistico, ma auguro a tutti i miei studenti di avere il cuore che batte quando prenderanno la loro prima matita copiativa in mano…
Non fate sbaffi, sennò non vale.

Volevo fare l’archeologa… invece sono moglie, mamma, sorella e maestra e per me è più che sufficiente, anzi, ottimo. Sono una donna “orgogliosamente media”, ma decisamente realizzata, che non si annoia neanche un po’…

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