Ultima modifica 20 Giugno 2019
C’è un dipinto, conservato nella Galleria Nazionale delle (mie!) Marche ad Urbino che si intitola “La città ideale”. L’autore è ignoto ma pare fosse venuto alla luce addirittura nella Corte di Federico di Montefeltro, Conte e condottiero sensibile all’arte e all’architettura.
In quest’opera, che mi ha sempre affascinato, è stata dipinta la “città ideale” secondo i canoni classici dell’epoca. La perfezione, quindi. Ma se osservate bene tutto il quadro la città è vuota, non c’è una sola persona che lo vive.
Allo stesso modo l’insegnante rigoroso che “tiene la classe” e la disciplina e magari è molto competente nelle materie ma è vuoto, come la città di prima, non ha alcuna quindi relazione e capacità di relazionarsi con i propri alunni non va bene,almeno per i tempi di oggi.
Il rigore dell’insegnante, che sembra uno dei primi problemi della scuola di oggi, non può esserci se in classe non c’è un clima di relazione attenta, di ascolto e di condivisione.
Un buon insegnante, un insegnante “ideale”, dovrebbe cambiare molto spessa tecnica di motivazione del proprio gruppo classe, motivare, cambiare strategia,comunicare e valutare senza pregiudizi … quasi come un coach.
Se l’insegnante crea un clima favorevole all’interno del gruppo classe, anche l’apprendimento sarà semplificato. Se vi ricordate bene, e anche io ne ho memoria, i professori che creavano un clima di “ansia” e “terrore” in classe, per un compito in classe o un interrogazione, facevano probabilmente studiare ma facevano buttare nel dimenticatoio tutto ciò che si era appreso pochissimo tempo dopo averlo fatto.
Ma dimenticare il proprio ruolo di insegnante non è mai un bene.
Volere a tutti i costi abbandonare il rigore senza sostituirlo con i principi esposti prima perché talvolta si ha “paura” della reazione dei genitori degli alunni che sempre più spesso diventano gli avvocati dei propri figli e sono pronti a difenderli di fronte ad ogni tipo di autorità non significa essere un buon o “simpatico” insegnante, anzi, talvolta è proprio non esserlo. Esiste anche una vera a propria “carta etica” dell’insegnante in cui sono esposti i principi fondamentali della professione docente.
Voler mettersi troppo alla pari con gli alunni, quasi diventare “uno di loro” per evitare di svolgere il proprio ruolo educativo talvolta mette anche a rischio la propria decenza. E’ notizia di questi giorni una professoressa che improvvisa una lap dance per un alunno
(nella versione americana ci sono anche più particolari e per chi volesse cimentarsi con l’inglese trova il link qui).
Tratto l’episodio per scelta solo marginalmente perché credo che non c’entri nulla con chi sceglie di fare ogni giorno con passione il proprio lavoro e non ci interessa pompare situazioni in cui si dovrebbe semplicemente far scendere “un velo pietoso”.
Ma da parte mia, come insegnante e come genitore, credo che l’educatore non possa abbandonare il suo ruolo semplicemente perché siamo nella società del “tutto è permesso”.Non può avere paura delle reazioni dei genitori che spesso vedono la scuola come un oppositore e si mettono in situazioni di poca collaborazione e di sfida. Evitare il contrasto per avere una bella immagine di sé:questo è un segnale di forte debolezza e di insicurezza.
E per concludere permettetemi una riflessione. Non sarà che anche i corsi universitari preparino abbastanza adeguatamente sulle conoscenze ma poco sulle competenze pedagogiche e relazionali? Tra Università, SiSS, TFA e più ne ha più ne metta, non si crea una selva di doppioni? Su questo, permettetemi una battuta, gli insegnanti elementari sono avanti anni luce in quanto passano anni sul campo a educare i propri alunni, quasi come figli adottivi, con passione, sottopagati e sottostimati…