Ultima modifica 20 Giugno 2019
“Perché mela si chiama proprio così e non si chiama fufa?” “Perché se la chiami fufa, non ti capisce nessuno e tu non mangerai mai una mela. ”
“Io la “a” la faccio così perché mi viene così. ”
“No, c’è un modo personale per fare la “a” e se non la scrivi così non si capisce quale lettera sia. ”
Queste sono solo alcune delle discussioni a cui un insegnante si trova di fronte in prima, o in seconda. Credo non sia successo solo a me.
Poi, chiamando mela col suo nome, scrivendo “a” come si deve e vedendo che tutti fanno lo stesso, un bambino comprende che sta seguendo la strada giusta.
Questa è, semplificando, la fotografia di ciò che dovrebbe essere una relazione educativa: il bambino prova a sciogliere il nodo che sente troppo stretto, ma alla fine capisce che non può, soprattutto perché, oltre al fargli notare lo sbaglio, si guarda intorno e al confronto con gli altri comprende che la strada giusta da seguire è una sola. Mela è mela e mai fufa.
Nella relazione educativa, tutto quello che dovrebbe essere ugualmente chiaro e semplice, oggi non può funzionare così . L’Italia offre un contesto sociale inadeguato, che non educa al rispetto.
Sono troppe le incongruenze, troppe le incoerenze, troppe i”lascia stare, che importa”, troppi gli esempi diseducativi. Siamo letteralmente circondati.
A scuola ogni giorno si ricostruisce il castello: il rispetto del materiale e dell’ambiente scolastico,
la raccolta differenziata, l’utilizzo parsimonioso dell’acqua, è l’aspetto materiale di un rispetto dovuto al mondo che viviamo. Poi uscendo dalla scuola ci sono cartacce, escrementi di cane perfino nell’androne, i comuni che lasciano che l’acqua si disperda vergognosamente prima di arrivare alle nostre case.
E si ricostruisce il castello: rispetta il tuo turno e non invadere lo spazio altrui, non fare un dispetto che potrebbe nuocere o alla salute o all’animo di una persona. Sì, ma poi vedi gente che litiga furiosamente per un parcheggio o al semaforo sorpassa 3 auto e passa col rosso o fa il furbo passando avanti alla cassa e facendo finta di nulla. Che misere figure di fronte a un bambino.
Ciò che purtroppo manca sempre più è quello che si chiama “il contesto sociale” cioè un tessuto su cui cucire i valori importanti.
Come insegnante e genitore, e come me credo molti altri, ho la sensazione di mettere le toppe ad un tessuto troppo logoro perché riesca a tenere.
No, non ci arrendiamo, ma certo che il lavoro di un insegnante in una società del genere, in cui chi ha colpe la passa liscia per furbizia o prepotenza e chi fila dritto a volte sembra creare soltanto problemi, è molto molto difficile.
Prendetela come uno sfogo. Già, perché non ho mica scoperto l’acqua calda.
Che la scuola, impoverita e innervosita,e le famiglie rispettose di regole e valori (quante?) possano risolvere i problemi socio-culturali di un’Italia malridotta, corrotta e debole, è un nobile pensiero…ma molto lontano dalla realtà.
Del resto non è una novità che in Italia le regole vengano rispettate a macchia di leopardo. E questo non può rendere uno stato vivibile né un paese che si possa portare da esempio.
Chi c’è già e chi arriva dovrebbe entrare in una modalità di comportamento e trattamento onesto e di rispetto di quelle regole che dovrebbero essere per tutti.
A scuola ci si batte così tanto. Però basta aprire un giornale qualunque in un giorno qualunque che l’ingiustizia fa ombra alla luce che si tenta di accendere. Si fa quel che si può, ma il quotidiano, così complicato e spesso disonesto, ci porta via “il castello” come le onde del mare.