Ultima modifica 28 Gennaio 2019
Te lo chiedono in un frangente gradevole come un calcio di traverso sulle gengive: mentre siete in fila al supermercato, ad una cena con amici o magari nella sala d’atteso del pediatra.
Ovviamente gridano la domanda a squarciagola e tu vorresti scomparire in un buco nero.
Al riparo da chi ti fissa incuriosito per vedere se riuscirai a cavartela con stile, oppure se prenderai a farfugliare un’accozzaglia di spiegazioni sommarie e incomprensibili.
Alcuni te lo domandano a sei anni.
Altri, se disponi di un quantitativo di sfiga decisamente superiore alla media, lo fanno dieci secondi dopo aver imparato a formulare frasi che includano più di tre termini.
In fondo, per chiedere “Come nascono i bambini?”, di parole ne bastano appena quattro.
Mamma, come nascono i bambini?
La reazione più tipica, superato l’iniziale imbarazzo, è quella di aver paura di sbagliare, comunque si risponda.
Bisognerebbe riuscire a trovare una via di mezzo fra quelle che erano le panzane su cavoli e cicogne, che ci venivano raccontate un tempo, e la reazione isterica di chi inizia a spiegare il mistero della procreazione, utilizzando termini scientifici che metterebbero in difficoltà anche un vecchio ginecologo.
Questi sistemi ci tolgono dall’imbarazzo di dover dire con chiarezza “come si fa”, ci fanno guadagnare tempo, ma non risolvono il problema.
Dribblare la questione troppo a lungo significa far nascere fantasie incontrollate nel bambino il quale, dopo essersi fatto una mezza idea sulla faccenda, arriva sempre alla conclusione che ci sono ancora degli “spazi vuoti”; qualche pezzo del puzzle mancante.
È allora che decide di rivolgersi ai genitori e di chiedere maggiori spiegazioni.
Come comportarsi?
Non sono una psicologa, ma una semplice mamma discretamente terrorizzata dal come affrontare la questione.
Posso dire che, conoscendo il lato insolitamente adulto di mio figlio, probabilmente riuscirò a spiegargli in maniera semplice tutta la verità, lasciando i cavoli a vegetare nell’orto e la cicogna a sonnecchiare sui comignoli delle case di campagna.
Spiegargli da dove ‘escono i bambini’ non mi ha creato troppi problemi.
Lui, di fatto, è uscito dalla pancia di mamma. Il cordone ombelicale era corto, ed è stato fondamentale usare l’uscita di sicurezza.
Però sa che non tutti escono così. E l’argomento andrà ripreso.
In fin dei conti è un maschietto e anche se, dopo essermi ubriacata per farmi coraggio, dovesse uscirmi una frase del tipo: «Solitamente è tremendo, alcuni non ne vogliono proprio sapere di saltare fuori e per farlo ci mettono ore… », mio figlio avrà la certezza che sua madre è pazza, ma sarà poi confortato dal fatto che a lui non toccherà mai dover affrontare nulla del genere e tornerà sereno a giocare alla play.
La questione tecnica del “come entrano”, invece, mi metterà sicuramente in crisi.
In questo caso confido nella fortuna, sperando che, una volta fornitagli la spiegazione su com’è uscito, lasci passare almeno una ventina d’anni prima di chiedermi l’indomandabile, anche se, per allora, avrà ben chiaro come faccia un bambino ad entrare nella pancia della mamma e, anzi, sarà in grado di fornirmi spiegazioni ben più dettagliate di quelle che potrei fornirgli io.
Considerazioni irrazionali a parte, passo la palla ai genitori che hanno già avuto a che fare con l’indomandabile: come ve la siete sbrigata?
Avete preso la questione alla larga, blaterando di impollinazione e fiorellini multicolore, oppure siete andati dritti alla questione senza tanti giri di parole?
E, soprattutto, se avete scelto la seconda opzione ditemi: quanto vi siete sbronzati per riuscire a raccontare la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità?