Ultima modifica 28 Aprile 2021
Mancano poco più di due mesi a uno degli appuntamenti più importanti e temuti della vita di ognuno di noi: l’esame di maturità.
Una di quelle tappe che difficilmente si dimentica (e che ancora qualcuno sogna in quegli incubi dai quali ti risvegli sudato e con un velo di ansia che difficilmente riesci a lavare via). Uno di quei traguardi che, fino a che non li superi, ti sembrano insormontabili.
Girando tra i banchi di scuola in questo periodo la tensione tra i nostri ragazzi è palpabile.
I segni delle nottate passate sui libri per affrontare al meglio la simulazione dell’esame solcano i loro occhi.
Le risatine isteriche o le battute idiote che aiutano a sdrammatizzare la situazione si fanno sempre più presenti.
Gli sbuffi o i commenti sarcastici ogni volta che un docente annuncia una nuova interrogazione hanno il sapore della fatica.
Insomma: i ragazzi sembrano prendere davvero seriamente l’esame di stato.
E questo è, già di per sé, un segno di grande maturità.
Anche se loro ancora non lo sanno.
Gli adolescenti (che sono gli adulti di domani) sono preoccupati per la fatica, per il risultato finale, per ciò che questo traguardo rappresenta per loro. Senza davvero essere consci del passaggio che stanno effettuando tra la vita “da ragazzi” e quella “da adulti” che affronteranno.
La fine del liceo, infatti, rappresenta la vera linea di demarcazione tra la condizione di studente e quella di adulto.
Anche se andranno all’università perché, in fondo, la loro esistenza si modificherà parecchio. Smetteranno di dover rispondere ad una organizzazione imposta dagli adulti e dovranno necessariamente imparare a gestirsi da soli tra lezioni, esami, programmi, esperienze all’estero, obiettivi da definire e traguardi da raggiungere.
Figuriamoci poi se entreranno nel mondo del lavoro…
Oggi gli adolescenti ancora non lo sanno, ma noi adulti ne siamo consapevoli?
Come li sosteniamo in questo percorso?
Ricordo ancora (e qualche volta, lo ammetto, ancora lo sogno in questo periodo di preparazione alla maturità) la mia esperienza con l’esame di stato.
I miei genitori, che non avevano fatto la scuola superiore, riuscivano meno di me a comprendere cosa significasse prepararsi. Inconsapevolmente (forse) hanno lasciato che mi attrezzassi da solo per come potevo, utilizzando le risorse che avevo.
Mamma e papà hanno lasciato che affrontassi questo passaggio con le mie sole forze.
Siamo in grado, oggi, di fare lo stesso?
Riusciamo noi genitori a non accompagnare i nostri figli (come dei bambini) in questa esperienza senza tutelarli o proteggerli in un eccesso di cura?
In fondo l’esame di maturità, al netto del voto (che in realtà importa davvero a pochi, se non per soddisfazione personale) è un rito di passaggio. E dovremmo fare in modo che i nostri figli da maturandi riescano a trasformarsi in maturi.
Non per lo studio, ma per la vita.
Siamo in grado di fare un passo indietro lasciando che i nostri figli crescano?