Ultima modifica 27 Agosto 2020
Sono due gli episodi che circolano in maniera insistente nel mondo adottivi.
Le adozioni finalmente sbloccate in Congo ed il caso Manarin, neo padre adottivo trattenuto a Volgograd, l’ex Stalingrado, con l’accusa di presunte percosse nei confronti del figlio adottivo, un bambino russo di 8 anni.
Due episodi diametralmente opposti, i cui risvolti però portano a capire di quanto caos ci sia nel mondo adottivo.
Partiamo dal primo che ha visto il ricongiungimento di 51 bambini congolesi con le loro famiglie ma, come denuncia il comitato genitori RDC.
“83 bambini, ad oggi, restano ancora in RDC! Per cosa? Perché le pratiche per il loro espatrio non sono ancora state presentate in ambasciata (questo almeno fino al 14 aprile!). La cosa ci sembra inaudita! Com’è possibile che dopo 29 giorni delle ultime telefonate e 59 giorni dalle prime non siano ancora state presentate queste pratiche all’ambasciata italiana di Kinshasa? Com’è giustificabile?
Chi deve presentare queste pratiche? A chi sono in mano?
Insomma la questione non è affatto chiara perché proprio non si riesce a capire quale pasticcio ci sia dietro alla vicenda e, mentre ci sono i genitori che infuriati accusano il Governo e la CAI di incapacità e ci suggeriscono che dietro a tutto questo inghippo ci sia chissà quale altro intrallazzo politico. Non ci si spiega la ragione per cui a questi bimbi sia imposto un ritardo di oltre 900 giorni con le scuse più disparate visto che ad alcune famiglie risulta che i figli non abbiano ancora il loro passaporto, documento basilare per poter uscire dalla RDC, che altri stiano attendendo di poter fare la foto biometrica necessaria per il documento, altri ancora invece risulta avessero il documento e tutte le carte in regola per essere aggiunti al gruppo dei 51.
La presidente della CAI intanto non risponde a questi interrogativi ma dice solo un laconico “lasciateci lavorare” che mi sembra un po’ poco per delle famiglie che stanno aspettando di potersi andare a prendere i figli da più di due anni.
Seconda e ben più scottante situazione: l’affare Manarin.
Qui la questione è ancora più sottile nei risvolti benché l’accaduto parli da solo.
Il 52enne Odesio Manarin, comandante della polizia municipale di San Quirino, viene denunciato per aver malmenato il bambino russo di 8 anni, adottato pochi giorni prima. Denunciato per maltrattamento gli viene notificato l’avviso di garanzia, deve quindi rimanere a disposizione delle autorità giudiziarie russe, non può rimpatriare e l’adozione è stata sospesa.
Il Manarin nega di aver fatto del male al bambino, affermando di averlo trattenuto per impedirgli di finire in mezzo a una strada trafficata.
Le televisioni russe invece riportano un’altra versione: il bambino, intervistato dal 1 canale nazionale, afferma che il padre l’ha picchiato per disubbidienza, «facendogli molto male» mentre la stazione televisiva (ma si sa che certi giornalisti sono sempre alla ricerca dello scoop sensazionalistico) sosterrebbero che sarebbero state decine le dichiarazioni di testimoni oculari che avrebbero assistito alla scena.
Secondo poi Gheorghij Fedorov, membro dell’Assemblea Civica della Federazione Russa, Odesio Manarin avrebbe qualche problema di natura psichica, tanto di avere con sé il certificato medico con una diagnosi del genere.
Passato qualche giorno però i toni si sono smorzati. C’è stato l’intervento dell’ambasciata italiana che ha creato speciale task force, guidata dal console Pier Gabriele Papadia, in stretto contatto con l’ambasciatore Cesare Maria Ragaglini e con la Farnesina che segue la vicenda da vicino.
Nel frattempo si è saputo che nei confronti del 52enne di Vajont in Russia con la moglie, per il momento non è stato adottato alcun provvedimento restrittivo, gli è tuttavia impedito di lasciare la Russia tanto è che la scorsa settimana gli è stato rinnovato il visto turistico in scadenza per altri tre mesi.
Nel frattempo, a Volgograd, il bambino russo adottato lo scorso gennaio dai coniugi Manarin è affidato ad un centro di riabilitazione dov’è seguito da insegnati e psicologi. L’adozione è ovviamente fortemente a rischio visto che l’ufficio del procuratore generale ha presentato domanda alla Corte regionale di Volgograd di annullamento dell’adozione.
Non voglio commentare l’accaduto, se realmente fosse così, forse qualche dubbio potrebbe venire anche a me, non tanto per lo scapaccione arrivato al bambino che in una situazione di così alto stress può anche scappare, quanto rispetto al rilascio dell’idoneità all’adozione se veramente questo signore (ma su questo mi permetto di dubitare e molto) ha disturbi di natura psichica.
Comunque la si metta, mi sembra che il mondo adottivo si stia ritrovando un periodo molto complicato.
Questi due significativi episodi si sommano al calo drammatico delle richieste di adozione; stiamo ancora aspettando che la CAI pubblichi i dati effettivi sull’argomento visto che è qualche anno che non lo fa, esattamente dal 2013. Polemiche che però scaturiscono dalla CAI stessa per voce della presidente Silvia Della Monica che non riunisce l’organismo da oltre due anni «perché –secondo lei- esiste un conflitto di interessi» con enti che «seppur in modo indiretto agiscono all’interno della stessa Commissione».
Dichiarazioni pesantissime quindi.
La Della Monica sostiene che “è una situazione «anomala», aggravata da comportamenti «discutibili» degli stessi enti «sia sul fronte economico che rispetto al rigore delle procedure adottive» in cui «sto cercando di ripristinare la legalità anche sottoponendo gli enti a vigilanza e controlli».
Insomma noi capiamo che, secondo la presidente, il sistema adozioni è fallato dall’interno.
Gli enti però non ci stanno e ribattono prontamente insieme alle 33 organizzazioni familiari aderenti al Care (Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in Rete). «È una guerra che non serve a nessuno e da cui prendiamo le distanze avendo come unico interesse il funzionamento del sistema adozioni in Italia. E con un comunicato altrettanto duro, per l’ennesima volta, chiedono un intervento del premier Renzi.
Il conflitto di interessi? «È stato da tempo superato con un decreto del Presidente del Consiglio del marzo 2015», in cui si stabilivano con chiarezza i requisiti dei membri della Commissione. Quanto a rendicontazioni false e procedure opache gli enti chiedono che le accuse da generiche diventino circostanziate oppure che si smetta di lanciarle alimentando «un clima di sospetto che può creare smarrimento e confusione nelle famiglie e sfiducia nelle istituzioni».
La Commissione, essendo un organo collegiale, «torni piuttosto a riunirsi, a riesaminare le richieste degli enti per l’operatività in nuovi Paesi e pubblichi i dati relativi alle adozioni con regolarità comprendendo anche le annualità mancanti 2014 e 2015».
Insomma è un vero caos.
Io non invidio per niente le coppie che hanno iniziato in questo periodo il percorso adottivo perché, già di dubbi ne hai milioni di tuo. Se poi tutto ciò che circonda il mondo adottivo è in subbuglio le incertezze possono diventare paralizzanti e darti quella spinta in più a lasciar perdere.
Ma se una coppia lascia perdere, non è supportata. Non è accompagnata a dovere da chi dovrebbe invece prenderli per mano e portarli in fondo a questa faticosa strada.
Gli unici che ci rimetteranno saranno quei bambini che alla fine rimarranno solo ed abbandonati a loro stessi magari chiusi dentro un istituto.
Quindi, se è vero che l’adozione è fatta nell’interesse supremo del minore, occorre fare chiarezza su ogni angolo buio di questo percorso in fretta e nel miglior modo possibile.
Elisabetta, naturalmente ti quoto in tutto, mi permetto di aggiungere solo delle ovvie considerazioni sulle possibili causa: finché in Italia l’ adozione sarà vista solo come l’ ultima spiaggia per “procurarsi” un figlio, una volta falliti altri tentativi e questa cosa sarà considerata “motivazione importante” per le coppie, da parte dei servizi sociali, invece che “pericolosa deriva” verso la depressione, i casi di coppie scoraggiate dai “presunti” fallimenti adottivi, saranno sempre più numerosi, a ciò si aggiunga la mancanza dei rimborsi parziali, per sopperire alle ingenti spese e la “sponsorizzazione” delle pratiche di fecondazione assistita, come una cosa facile e normale e “meno costosa” economicamente dell’ adozione e abbiamo un bel quadro: la nostra società è sempre più egoista e superficiale e considera “normale” tutto ciò che tende a procurare un soddisfacimento personale, senza considerare affatto le altrui esigenze e il bambino deprivato e pertanto più bisognoso di attenzioni, viene considerato un “piccolo ingrato” quando non “vale” i soldi spesi per lui .. proprio come nei romanzi strappalacrime di Dickens. . invece di andare avanti, andiamo indietro . . . . . PRECIPITEVOLISSIMEVOLMENTE 🙂
ciao Saggiavale, felice che tu mi segua sempre e di trovare i tuoi costruttivi commenti sempre più spesso. è vero, questa società è sempre più concentrata verso la soddisfazione immediata di ogni desiderio compreso quello di avere un figlio. Io però trovo, e l’ho già detto in un mio articolo precedente, che la strada della fecondazione artificiale dovrebbe essere sempre percorsa prima di approcciare il percorso adottivo non tanto perché questa debba essere considerata l’ultima spiaggia ma perché, secondo me, ogni coppia ha il diritto/dovere di provare a cercare un figlio biologico proprio per arrivare al percorso adottivo senza nessun “se” o “ma” in mezzo, senza rimpianti e senza rimorsi. Nella testa non ci deve essere nessuna ombra e nessun dubbio perché il percorso è duro, sicuramente più duro del percorso biologico e quel bimbo che verrà poi con l’adozione deve avere una coppia di genitori che non pensino mai che ci sarebbe potuto essere qualcun’altro, devono avere spazio solo per lui. Ed in ogni caso non ci nascondiamo dietro un dito, il legame mamma/bimbo che si crea nella pancia non è acqua fresca e, solo per quello, vale la pena provarci fino in fondo. Altro è però l’accanimento nella fecondazione artificiale. Provarci va bene, incaponirsi no.