Ultima modifica 28 Aprile 2021
“Ormai sono grande, tu non mi comandi più. Faccio quello che voglio”.
Quante volte noi, genitori di adolescenti, ci siamo sentiti ripetere questa frase? E se ancora non è successo, fidatevi, prima o poi accadrà.
Faccio quello che voglio.
Eh sì, purtroppo questo mantra ci perseguiterà per anni perché i nostri figli adolescenti vogliono diventare autonomi.
Che poi, a ben pensarci, è esattamente quello che vogliamo tutti noi: vedere i nostri ragazzi diventare adulti e non avere più bisogno di noi.
Ma è davvero questa la fantomatica autonomia a cui vogliamo accompagnarli?
Ne siamo sicuri? Ci siamo davvero chiesti cosa sia l’autonomia?
In pedagogia una delle descrizioni è quella in cui l’autonomia è considerata il risultato di una sistematica azione di apprendistato realizzato mediante l’esecuzione di azioni della vita quotidiana insieme ad adulti competenti. Ciò permette ai ragazzi di apprenderle e memorizzarle accrescendo la loro competenza e la fiducia in sé stessi. Questo tipo di concezione dell’autonomia sviluppa uno stile educativo incentrato sul ruolo del genitore come “esempio da imitare”.
Secondo questa concezione la priorità è essere dei buoni esempi. Che, diciamocelo, non è affare così semplice considerando che anche gli adulti commettono errori.
Certo, basterebbe partire dal presupposto che, proprio perché esseri umani potenzialmente fallaci, essere adulto non significa essere perfetto. Così il gioco sarebbe fatto.
Siamo disposti però ad ammettere le nostre debolezze e i nostri limiti? Quanto ciò potrebbe farci perdere di autorevolezza?
Esiste anche una seconda visione che è quella in cui l’autonomia, intesa come conquista individuale del singolo o elaborazione del gruppo dei pari, viene perseguita attraverso richieste e stimolazioni rivolte ai ragazzi a fare da soli, a ricercare soluzioni ai propri problemi e ad acquisire competenze e abilità senza il sostegno dell’adulto.
Questa concezione dell’autonomia sviluppa il ruolo dell’adulto come lo “stimolatore esterno” delle competenze dei minori.
Insomma: incentiviamo i nostri ragazzi a provarci in ogni situazione. Sarà l’esperienza ad accrescere il loro bagaglio di conoscenze e competenze. Più esperienze faranno e più saranno autonomi.
C’è però un particolare da tenere in considerazione: quali esperienze sono funzionali alla loro crescita e quali invece rischiano di essere troppo dannose?
Abbiamo ancora una terza possibilità da esplorare che è quella in cui l’autonomia è il risultato dell’interiorizzazione di regole e norme sociali. Il progetto di crescita, in questo caso, si concentra su una consistente regolamentazione della vita quotidiana che gli adolescenti sono invitati a rispettare. Questa concezione dell’autonomia comporta che l’adulto assuma un ruolo di “normatore” della vita quotidiana per sollecitare nei ragazzi il riconoscimento delle norme e regole socialmente accettabili.
Ma se l’unico compito del genitore resta quello di normatore, che spazio rimane alla vasta gamma di emozioni e ruoli alternativi che possiamo mettere in campo? Non ci sentiremmo vincolati nella posizione di giudice?
In tutte queste visioni dell’autonomia ci si riferisce essenzialmente a una qualche qualità che sarebbe da sviluppare o promuovere in azioni determinate. Questa supposta qualità individuale si presenta sotto due forme distinte: come autonomia da o autonomia per.
La prima indica ciò che limita l’autonomia, la seconda ciò che la rende possibile.
Se l’autonomia da è la capacità di emanciparsi dalle regola dell’autorità ci troviamo di fronte a una caratteristica che l’adolescente deve conquistare e il genitore, nel suo ruolo di rappresentazione simbolica e materiale dell’autorità nella relazione, non può che essere il bersaglio principale che va superato e, metaforicamente, distrutto. E questo significa che per tutta l’adolescenza dei nostri ragazzi non dovremo far altro che parare colpi.
Quando però ci si concentra sugli aspetti funzionali l’autonomia da diventa autonomia per e il suo oggetto è il mondo. L’autonomia, in questa accezione, diventa ogni nuova capacità che si affaccia sullo scenario del comportamento individuale interpretato come nuovo strumento per muoversi nel mondo con maggiore disinvoltura.
Il limite di queste due interpretazioni è che entrambe la definiscono come una caratteristica intrinseca del soggetto (quindi come un suo oggetto) mentre l’autonomia può essere concepita come “qualità del rapporto tra il sistema e il suo ambiente”.
Poiché ogni sistema è sempre dipendente dal proprio ambiente esterno ogni livello di autonomia si lega a un sistema di dipendenza. Ciò che muta con il processo di crescita non è quindi la quantità di dipendenza ma la sua forma.
Non spaventatevi: dietro tutti questi paroloni si lega un concetto molto più semplice che proverò a spiegarvi in poche parole.
Diventare autonomi significa diversificare le proprie dipendenze attribuendo ad ognuna di esse un valore meno ingombrante.
L’obiettivo autonomia può quindi essere descritto solo all’interno della relazione di dipendenza tra minore e famiglia dove il primo, testando nuove forme di dipendenza diverse da quelle precedenti, può trovare nuove strategie per affrontarle mentre per la seconda questa forma di dipendenza conferma la sua autonomia nei confronti dell’ambiente. Posizionando l’autonomia su questa relazione, non sono più tanto importanti le conoscenze che si possono apprendere, quanto la capacità di saper manipolare di volta in volta queste conoscenze.
L’oggetto di apprendimento non è quindi più importante quanto lo è il processo di apprendimento.
Per semplificare un concetto apparentemente così complesso basta pensare al processo di crescita del bambino. Inizialmente il suo rapporto di dipendenza è esclusivamente con la madre (in realtà con il suo seno) mentre, con il passare degli anni, questa relazione esclusiva e simbiotica lascia il posto al rapporto con il padre, con gli altri membri della famiglia nucleare, con la famiglia allargata, con il gruppo degli amici, con i contesti sociali che si frequentano (scuola, sport, oratorio, lavoro…), nelle relazioni sentimentali.
Ognuno di noi, in fondo, non è autonomo perché è in grado di fare tutto da solo, ma perché sa da chi “dipendere” nelle differenti situazioni della vita quotidiana.
Dove il concetto di dipendenza può essere letto come la capacità di “confrontarsi con“.
Perché, alla fine, chi di noi non ha bisogno di un termine di paragone per prendere meglio le decisioni e governare il nostro agire?
Ognuno “A modo suo“