Ultima modifica 28 Aprile 2021
È un normale giovedì pomeriggio e sono seduto in una affollata sala d’aspetto dell’ASL in attesa che inizino a somministrare il vaccino a mia figlia.
Intorno a me un nutrito gruppo di mamme (di papà, in queste occasioni, se ne vedono sempre troppo pochi) che accompagnano le loro figlie che dovranno subire la stessa sorte della mia.
Come sempre, mentre nell’attesa io e la mia principessa ripassiamo inglese per il test d’ingresso che avrà domani a scuola, mi guardo intorno per osservare l’umanità che mi circonda.
Le mamme sono intente a chiacchierare tra loro del più e del meno mentre le figlie formano dei gruppetti che mi fanno capire fin da subito quale scuola frequentino o in quali luoghi vivano. D’altra parte la nostra è una piccola cittadina e, dato che le ragazze sono tutte coetanee, è normale che si conoscano quasi tutte.
In attesa del vaccino
Molte di loro le conosco anche io perché sono amiche di mia figlia o perché frequentano le scuole o il centro di aggregazione giovanile nei quali lavoro. Tutte così simili nella tensione pre iniezione ma altrettanto diverse nelle modalità e nell’atteggiamento.
Alcune stanno vicine alle madri con i loro vestitini estivi e le code di cavallo che le fanno sembrare ancora bambine.
Altre fanno gruppo lontane dai genitori e hanno il cellulare perennemente in mano, short e magliettine corte, capelli sciolti, qualcuna già con un filo di trucco appena accennato che si atteggiano già come delle ragazze più grandi.
Una addirittura mastica un chewing gum facendo scoppiettare dei palloncini con la lingua e mi fa sorridere: sembra una novella Sandy che dal Grease degli anni ’60 è stata catapultata nel nuovo millennio, solo con un’espressione appiccicata sul volto decisamente meno innocente della protagonista del film.
La dottoressa spiega perchè somministriamo il vaccino
A un certo punto nella stanza si fa silenzio: è arrivata la dottoressa che comincia a raccontarci quello che stiamo per affrontare.
Il nome della patologia che si va a combattere con il vaccino che verrà somministrato alle nostre figlie (sì, tutte femmine perché il papilloma virus colpisce gli organi di riproduzione femminile), le possibili reazioni successive all’iniezione, la sicurezza del farmaco e le statistiche di successo degli ultimi decenni.
Insomma tutte quelle indicazioni tecniche che dovrebbero farci calare l’ansia.
Poi la frase che, ne sono certo, gela il sangue di molti di noi adulti esce dalla bocca della dottoressa con una tonalità più bassa, quasi sussurrata in un misto di professionalità e di imbarazzo con un occhio forse attento a non interferire con le scelte educative di ogni famiglia.
Il vaccino per proteggere da eventuali ‘danni’ da rapporto sessuale.
“Questa vaccinazione viene somministrata a dodici anni per essere sicuri che protegga dal virus prima di qualsiasi rapporto sessuale”
Un’informazione buttata lì velocemente, subito lasciata dietro le spalle da successive indicazioni tecniche e la possibilità di fare domande.
Un accenno al mondo dei rapporti sessuali che, nell’immaginario di tutti gli adulti presenti in questa stanza, quasi stride con l’età delle ragazzine.
Come se parlare di sesso fosse un tabù così grande che gli adulti quasi se ne vergognano.
Eppure i nostri figli sanno cosa sia il sesso da molto tempo.
Alle elementari imparano come nascono i bambini e il meccanismo di riproduzione sessuale degli esseri umani.
La televisione e i social sbattono loro in faccia l’argomento in un modo a volte nemmeno così tanto morbido (solo ieri, riguardando il film “Balla coi lupi”, in mezz’ora io e mia figlia abbiamo assistito a due scene di sesso).
Il web racconta ai nostri ragazzi qualsiasi tipo di sessualità si possa immaginare.
Nel gruppo dei pari il linguaggio, le offese o le chiacchiere contengono ormai una marea di vocaboli a sfondo sessuale che i nostri figli usano abitualmente senza che noi lo si sappia.
Perché allora difficilmente gli adulti parlano di cosa sia il sesso con i propri figli?
Ma soprattutto:
Perché noi grandi abbiamo così tante remore di allargare il discorso del sesso a quello dell’amore e dei sentimenti?
Perché il problema sta proprio lì.
I nostri figli sanno perfettamente cosa è il sesso.
I nostri figli, malgrado i maldestri tentativi genitoriali di proteggerli ad interim, sanno cosa sia il sesso molto prima che noi ce ne accorgiamo. Solo che le informazioni in loro possesso sono parziali, distorte, a volte incomprensibili e mai (e sottolineo mai) queste informazioni toccano la parte emotiva del rapporto sessuale. E così ci ritroviamo a leggere sempre più spesso di ragazzini che in gruppo abusano della compagna di classe, di statistiche che ci raccontano che l’età del primo rapporto sessuale si abbassa sempre di più o di vittime di cyberbullismo e sexting in rete.
Tutta la dimensione emotiva del rapporto tra due persone. La bellezza del donarsi all’altro come completamento di un sentimento forte che li lega. La fatica (ripagata molti anni dopo) di attendere la persona giusta (che non significa che sarà quella che avrò al mio fianco per tutta la vita) e di non buttarsi con il primo che capita solo per “non essere la sfigata del gruppo che ancora non l’ha fatto” sono le parole non dette intorno alla sessualità.
E questo lascia i nostri ragazzi in preda agli ormoni.
Alle pressioni sociali e a una cultura che confina l’amore all’incontro con il Principe Azzurro in quella favola che, a dodici anni, probabilmente non esiste più.
Proviamo allora a essere consapevoli che i ragazzi di oggi sanno già tutto sul sesso.
Hanno però un forte bisogno di qualcuno che li guidi alla scoperta della parte più bella della sessualità? E proviamo a pensare che questo compito spetta a noi e che non dobbiamo aspettare che sia troppo tardi prima di superare la paura e l’imbarazzo?
Proviamo a ricordarci di quanto sia importante PARLARE DI SESSO AI GIOVANI?