Ultima modifica 14 Settembre 2020

Una fra le molte domande che ogni genitore adottivo si fa è quale peso abbia il passato che i propri figli hanno vissuto nel periodo antecedente alla formazione della loro famiglia.
Se lo domandano tutti. Anche coloro ai quali sia stato abbinato un neonato. Tutti ci portiamo dentro quel piccolo, grande punto interrogativo. A volte è possibile colmarlo, altre volte no. E se questa domanda ce la facciamo noi, immagino che l’interrogativo venga in maniera più pressante proprio ai figli.

Sicuramente chi più o chi meno.
Chi in modalità Zen, come la definisco io
Chi con l’angoscia
La domanda del ‘ io chi sono?’ passa nella testa di tutti.

Poi le risposte possono essere mille e più di mille. Ognuno ha la sua storia e la sua verità.

Fra le tante mi ha colpita quella di Manuel Antonio Bragonzi, Presidente di ANFAD – Associazione Nazionale Figli Adottivi che già nel suo libro “il bambino Invisibile” aveva raccontato dei suoi primi anni, quelli passati in Cile e l’incontro con la sua famiglia italiana. La sua è una storia emotivamente impattante. Una persona che non ha paura di raccontare anche le emozioni più profonde e che ci regala spesso dei bei punti di riflessione.

Oggi ve ne voglio riportare uno proprio su questo argomento.
Ringrazio Manuel di avermelo “prestato”, voglio regalarlo alle lettrici del nostro magazine, che magari sono più distanti dal mondo adottivo. Mi piacerebbe lo leggessero quelle mamme che a volte guardano alle famiglie che si sono formate tramite l’adozione come a famiglie un po’ meno famiglie. A noi, secondo loro, mancherebbe il “legame di sangue”.
Le sue parole sono inoltre carezze all’anima per quelle famiglie che magari stanno attraversando periodi inquieti o burrascosi perché trasudano di quell’amore che ci nutre e ci spinge a non mollare mai forti del nostro amore per loro.

Il mio passato è ancora presente.

Spesso mi ritrovo a guardare la mia vita presente e mi chiedo come sia possibile che a quasi 44 anni, i pochi anni (8) vissuti in Chile, siano ancora così condizionanti nel quotidiano. Un passato che rimane appiccicato alla tua pelle, ricordi indelebili che, anche volendo, non possono essere messi da parte, nell’angolino della memoria, facendo finta di nulla.
8 anni in Chile e 36 in Italia.
Quando ci penso sembra impossibile. 36 anni sono tanti, eppure quegli 8 anni sono così importanti da rendere i successivi quasi un corollario.
Mi fa venire in mente Robert De Niro nel film “Mission” che traina il fardello della sua vita passata su per la ripida montagna, resa scivolosa dalla cascata. Un fardello pesante che lo faceva cadere continuamente, saliva e scivolava giù trascinato dal peso del suo passato.

Noi siamo così: non importa quanti anni siano passati dal momento in cui siamo divenuti di nuovo figli

avremo sempre quel fardello pesante che qualche volta ci farà cadere per poterci rialzare e camminare ancora, con la schiena a pezzi, magari.
Se non fosse per l’amore dei nostri nuovi genitori non saremmo in grado di rialzarci, se non fosse per lo sguardo di chi ha vissuto il nostro stesso dolore, la nostra (o simile) esperienza, ci sentiremmo soli nella fatica.
C’è chi prova a nascondersi, facendo finta di nulla, dicendo: “Ma io sto bene, perchè tanto parlare? A cosa serve ritrovarci”…
Prima o poi però la Vita ti interroga, prima o poi il passato ti chiamerà.
Quella domanda senza risposta ti risuonerà nella testa e allora quella apparente serenità si sgretolerà e non la potrai ritrovare finché non troverai le tue risposte.
Fare il duro con il proprio passato ritarda solo il momento del confronto con te stesso.
Non importa quanto tempo tu abbia vissuto da solo, 1 mese, 1 anno o 8 anni, qualsiasi giorno vissuto senza identità sono talmente importanti da segnarti per sempre.
Ringrazierò sempre la Vita che, grazie alla Natura e alla sua Bellezza, mi ha dato una ragione per andare avanti. Mi ha dato tanti appigli ogni volta che ero in difficoltà, per attaccarmi, facendomi portare il peso del passato senza troppa fatica.

Il tutto sta nel sapere guardare, nel saper cercare, nel tuo percorso, gli appigli giusti.

La Vita te li offre sempre, ogni giorno, nei tuoi genitori, nei tuoi amici, negli incontri, in tutte le esperienze.
Caro genitore, non crogiolarti nel pensare che tanto tuo figlio sta bene, meglio degli altri. Questo ti farà fare più fatica quando vedrai i suoi occhi cambiare, quando noterai il suo silenzio, quando la rabbia a volte si scatena. Sii sempre pronto, cerca di dare a tuo figlio gli strumenti giusti per potersi guardare, non lasciare correre, non far finta di niente.
Il conto lo devi pagare sempre e la bellezza di tuo figlio non lo paghi solo con l’amore. Proprio perchè lo ami, non farti ingannare dall’apparente serenità, aiutalo ugualmente ad aprirsi, a guardarsi piano piano, sarà poi più semplice per lui cercare le risposte alle sue domande, con più coscienza.
Genitori, quanto vi voglio bene, tutti, vi abbraccerei uno ad uno, quanto amore avete e quanto amore riceverete. La Vita ha fatto a tutti noi il dono dei genitori e a tutti voi dei figli. Nulla è più miracoloso di questo.

Amo la Vita, amo voi e amo i miei fratelli in adozione.

Scritto con: Manuel Antonio Bragonzi

Riminese trapiantata per amore in Umbria da ormai 18 anni. Ex dietista e mamma attempata, di due fantastici figli del cuore che arrivano dal Brasile. Ma il tempo passa e i figli crescono (e non sia mai avere mamma sempre fra i piedi) ho ripreso a studiare e sono diventata Mediatore familiare, civile e commerciale. E a breve...mediatore penale.

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