Ultima modifica 17 Giugno 2023
Sono piccoli, ma in grado. In grado di capirsi e di aiutarsi.
Il peer tutoring, cioè l’aiuto tra pari, inizia dalla scuola dell’infanzia e io credo che già al nido, in qualche modo, si sfrutti la capacità dei bambini di aiutare ed insegnare agli altri.
Ormai la mia collega storica ed io ci siamo “convertite” a questo strada di insegnamento/apprendimento che ci si mostra in una catena virtuosa continua.
In prima è difficile. L’apprendimento della letto-scrittura e dei numeri è un traguardo sudatissimo. Questo porta i bambini, in modo naturale, ad essere in competizione, o meglio, ad arrivare prima degli altri, tempisticamente parlando.
”Io ho imparato! Io ho finito!
Che faccio adesso maé??”
Sono bellissimi anche in questo, con la loro fame di fare, il loro entusiasmo, i loro piedi fermi sul 19 e pure sul 20!!!
E gongolano chiedendoti “E qui faccio un cerchio rosso vero? Vero??”E’ giusto che si tengano strette le loro conquiste. E’ giusto.
Sta a noi far comprendere che, comunque, lasciar guardare il quaderno o rispondere ad una domanda, nella loro classe, è e sarà normale.
E sarà normale anche diventare aiutanti attivi, osservando intenzionalmente il quaderno del compagno per controllare che abbia capito o che non abbia sbagliato.
Sarà normale fare insieme.
E’ giusto che si sentano bravi… poi però scopriranno, con la nostra guida, che aiutando gli altri si resta ugualmente bravi, ma con una marcia in più. Non vedo l’ora.
Il punto è che nella nostra scuola le conoscenze, il saper fare e il saper imparare sono un percorso: non vengono calati come un casco da parrucchiera sulla testa dei bambini: attraverso esperienze vissute insieme, stimoli dati e intuizioni, raggiungono gli obiettivi previsti con i loro tempi.
Se un bambino fa una scoperta, è giusto che si senta riconosciuto dall’insegnante.
Ma se viene riconosciuto anche dagli altri, perché aiuta tutti a capire, è meglio.
Ma di molto, perché lì nasce un gruppo.
La tensione alla scoperta e alla comprensione sono un valore aggiunto che neanche si immagina; ma tutti devono poter parlare. Sembra strano, ma quando si crea la serenità del mutuo aiuto, anche chi non parla mai si sente libero di mostrare i suoi pensieri.
Se aiutarsi diventa la norma, lo stile di lavoro, ognuno si sentirà libero di tirare fuori i propri talenti per metterli a disposizione nel momento della necessità.
E vogliamo parlare del fatto che forse, anche se richiede tempo e forte impegno emotivo da parte di tutti, è l’unico modo per compensare la numerosità delle classi?
L’aiuto reciproco si verifica in contemporanea e rende meno noioso anche l’apprendere perché spesso come studente in difficoltà, posso rivolgermi al mio compagno e alla fine avere la conferma dal l’insegnante.
E’ proprio il momento di iniziare anche da noi. In prima.
Sì, perché proprio oggi una bimba mi si avvicina e mi dice:
“Posso aiutarlo? Perché non ha scritto… posso?”
E’ il momento e sappiate che rispondere “Sì” per me ha avuto un valore profondo.
L’ho osservata. L’ha fatto veramente!
E una richiesta ai genitori ci sta: “lui mi copia” ” lei mi guarda il quaderno” ” lei mi chiede sempre come fare” a questa età (e per quanto mi riguarda, fino all’università) richiede una risposta serena: “Forse ha bisogno di aiuto. Chiedi all’insegnante se puoi aiutarlo”.
Lo so, qualche insegnante magari non la pensa così.
Però sono convinta che si deve cambiare e spegnere al più presto la fiamma della competizione con l’altro per ingaggiarne una con se stessi.
L’obiettivo è migliorarsi
e non essere migliori di tutti.
Sarebbe bello insegnarlo
anche fuori dalla scuola.
Per vivere e lavorare serenamente insieme agli altri è l’unica via.
Io sono convinta.
Arriverà il momento di dimostrare singolarmente ciò che si sa fare.
Ma si avrà anche la consapevolezza di come si lavora in un gruppo per conseguire un obiettivo comune.
Forza genitori. Con voi ce la facciamo meglio.