Ultima modifica 20 Giugno 2019
Le parole uscite dalle dita di quei ragazzini di Parma, non sono quelle di tutti i giovani.
Ma sono una realtà e, per fortuna, venuta alla luce.
Come genitore e insegnante vedo un vuoto sociale e dei ragazzini veramente spenti di cuore e cervello.
Io ero un’adolescente compressa. Sì, molto compressa.
Se avessi avuto un cellulare e due genitori distratti, probabilmente lo avrei usato per sfogarmi… Sì, se avessi avuto la possibilità di parlare all’aria, invece che ad un diario, e, ripeto, due genitori molto distratti e presi solo dai loro interessi, forse avrei fatto anch’io qualche casino.
Avrei evitato la volgarità: mai appartenuta. Ma qualche casino l’avrei fatto.
Cioè questi ragazzi non sono mostri, ma figli che non si sono inventati nulla, con in mano un potere del quale non si scorgono i limiti reali.
Scrivere in chat è come schiacciare il pulsante di una bomba che esplode a migliaia di chilometri.
Se non hai valori forti di riferimento, non imposti, ma condivisi nel tempo, e se il rispetto per l’altro non lo vedi bilaterale, sei potenzialmente pericoloso con un cellulare in mano.
E sei anche protetto dall’anonimato o da qualche amico fedele, quindi gongolante di vigliaccheria.
Ora, in famiglia ognuno decide ciò che ritiene opportuno passare ai propri figli: dialogo o silenzio, parole o schiaffi, sostegno o solitudine. Ok.
Ma il problema nasce quando questi diversi modelli educativi si confrontano in una comunità.
Non si può pretendere infatti che, se uno di quei modelli prevede prevaricare, fregarsene dei sentimenti e delle debolezze altrui, pulirsi i piedi sulla schiena degli altri, e non assumersi la responsabilità delle proprie azioni, la comunità costretta al confronto stia a guardare placidamente.
Un gruppo di studenti è un’altra cosa rispetto ad un figlio.
E’ una comunità di minorenni e come tale sotto la responsabilità di adulti: va preservata da ingiustizie, violenze fisiche o verbali, bullismo, ad ogni costo, fosse anche quello del controllo diretto
Quindi, se da genitore, forse sereno sui valori che passo, eviterei l’ingerenza e punterei sul dialogo continuo, da insegnante non mi fermerei alle parole, di fronte a situazioni-limite, perché saprei di essere di fronte a ragazzi, disabituati al dialogo e al rispetto, di cui io sono responsabile.
Il preside Pier Paolo Eramo, dirigente scolastico della Sanvitale–Fra Salimbene, istituto comprensivo di Parma, che ha diffuso i dialoghi sulla pagina FB della scuola, ha fatto un atto coraggioso di denuncia, dissociando in modo forte l’ambiente-scuola da quel mondo sommerso.
In quei dialoghi non c’era niente che potesse giustificare la riservatezza. Niente.
Parlare con un genitore alla volta, privatamente, secondo me non avrebbe risolto nulla.
Qui il “per sentito dire” e il “so’ ragazzi” non funzionano più.
I ragazzi capiscono esempi e fatti.
Se non ci sono gli esempi, è giusto che si passi ai fatti per svegliare le coscienze.
Cioè, questi figli non li impastiamo con le mani.
Ognuno è fatto a modo suo; ma non deve danneggiare gli altri, questo è il minimo.
Il Preside, alla domanda se Facebook fosse la piattaforma adeguata per parlare, risponde «Me lo sono chiesto anch’io e l’ho chiesto ai collaboratori e al consiglio d’Istituto, con cui mi sono consultato. Poi ho deciso che il messaggio “fate attenzione a quello che fate quando siete sui social” non sarebbe stato abbastanza. Non questa volta. Serviva uno strumento potente, che aiutasse tutti a rendersi conto della gravità del fenomeno».
E secondo me ha ragione. Serve che il mondo intorno a quei ragazzi (e a quei genitori) condanni unito quello che hanno fatto e gli mostri una strada diversa.
Togliere i cellulari è improponibile. Sono il loro mondo.
E’ evidente che educare oggi sia più complicato, ma stiamo svegli, altrimenti ci troveremo pateticamente a dire “Mio figlio non è così!” “Mia figlia lo ha fatto perché…”, pur sapendo benissimo che qualche errore, a occhio e croce, probabilmente l’abbiamo commesso.
Serve una scuola ferma e decisa sui principi di vita civile.
Ben venga l’attenzione e l’agire in queste situazioni.
Ylenia Agostini