Ultima modifica 20 Giugno 2019
Inizia la scuola e siamo tutti un po’ in ansia, un po’ preoccupati di avere il materiale scolastico necessario e pure un po’ superfluo (diciamolo) per i nostri bambini.
Tutti a cercare di eliminare i problemi mentre la maestra di matematica è lì che li cerca… per crearli.
Che simpatica ragazza.
Ma quest’anno c’è una novità: il libro letto sotto l’ombrellone era tostissimo e siccome non devo “soffrire” solo io, ve lo racconto.
Step 1: i problemi che noi conosciamo, spalmati sui libri da 30 anni, non sono problemi.
“Carlo ha 4 macchinine e Giuseppe 6. Quante macchinine hanno insieme?”
Ebbene questo non è un problema. E’ un’addizione figurata. Che poi nemmeno quello perché sembra coccolina e realistica ma… vedi step 2.
Step 2: ma qui casca l’asino. Cosa voglio dire? Che, vaglielo a dire a Giuseppe e Carlo di mettere insieme le loro macchinine; seeee! Ognuno le sue e semmai si fa a gara! Ma all’arrivo le mie sono le mie e le tue sono le tue…
Il libro-rivelazione di quest’estate ci fa riflettere su un punto che può non essere considerato in modo naturale: i problemi così formulati, non solo non sono problemi, ma neanche esercizi verosimiglianti alle realtà dei bambini.
Il punto sai qual è? Che loro se ne accorgono e li risolvono ugualmente… per farci contenti.
Ma così si abituano ad addestrarsi ad un genere lontano dal vero stimolo intellettuale.
“Mamma, ma sono problemi di scuola… mica veri!”
Insomma loro ci fanno il verso, perché lo sanno come funziona. Solo che diventa un “problema” quando di tutto questo, come insegnante, ti rendi conto.
Certo che qui non posso stare a raccontarvi un libro per addetti ai lavori (Difficoltà di comprensione e formulazione dei problemi, Rosetta Zan), ma una riflessione è utile a insegnanti e genitori.
Posto che un problema è un problema e per definizione non lo sai risolvere immediatamente, sarebbe auspicabile non restare terrorizzati quando un bambino non riesce subito ad arrivare alla soluzione.
Bisogna togliersi dalla testa l’idea che uno dei criteri per valutare un solutore di problemi sia la velocità.
Un problema vero richiede la messa in campo di conoscenze e abilità che non sempre sono strettamente scolastiche. Anche se so perfettamente la formula per calcolare l’area del rettangolo, non è detto che sappia risolvere un problema dove va applicata tale formula.
Evitare come l’ortica la ricerca dei dati che apre la strada alla disciplina sportiva del “tiro al bersaglio piùmenoperdiviso”. D’Amore lo dice chiaramente: la trascrizione dei dati è una delle competenze più alte da raggiungere per un bambino.
Lo distoglie dal filo del problema.
Le parole chiave poi costruiscono binari nel momento in cui, per risolvere un problema, ci serve un fuoristrada: via anche quelle.
Carlo ha un sacchetto di 30 caramelle e se ne tiene 18 . Quante caramelle potrà regalare al massimo, se volesse, a sua sorella? (Quanti giorni impiegherà Carlo ad andare dal dentista? l’ aggiungerei volentieri)
Ora questo è uno dei casi più semplici: al di là del fatto che anche questo è lontano dalla realtà, quale parola chiave troviamo qui?
E’ fondamentale la comprensione della storia, non le parole chiave.
Inoltre Rosetta Zan ci chiarisce che ogni bambino ha un sapere enciclopedico ed un patrimonio lessicale, una conoscenza del mondo insomma, particolare e molto varia. Quindi, come insegnanti e genitori dovremmo, prima di andare nel panico, accertarci che i nostri bambini abbiano chiari tutti i termini presenti nel testo e dovremmo anche capire che, più il testo è breve e più, a volte, è difficile da decodificare.
Ci sono “scontatezze” da superare. Magari non daremo ai nostri figli e ai nostri alunni i superpoteri del problem solving, ma li renderemo più sereni.