Ultima modifica 15 Luglio 2019
La soddisfazione di un bambino che fa i primi passi.
Me la ricordo quella delle mie figlie, perché mi fissavo ad osservare le loro espressioni, invece che i piedini: sorriso-pausa-paura-pausa-eccocado-le braccia del papà-sorrido-mi rilasso.
La soddisfazione viva del costruire in continuo divenire.
Quella che ho provato ieri a scuola.
Leggere chiaramente un progresso scolastico inaspettato che ti schiaffeggia, ti sveglia e ti mette la paura che finisca, che non si ripeta. Sorriso-pausa-paura-pausa-eccocado…
Parlo di progressi nell’ autonomia di pensiero, nella voglia di farcela da soli.
Per quattro anni ti sussurri tra le meningi: “Dopo tutto il lavoro, l’incoraggiamento quotidiano, la lotta contro “Iolamatematicanonlacapisco” (che, vi giuro, è la più dura che io abbia mai affrontato a scuola), deve venire fuori, almeno in embrione, ciò che vogliamo da tutti questi bambini: la competenza consapevole e autonoma in atto condita da motivazione personale”.
Abbiamo parlato a non finire, abbiamo visto passare i concetti tra le nostre dita un milione di volte.
Abbiamo cercato soluzioni nella più completa libertà, scartando insieme quelle sbagliate, aspettando insieme quelle giuste: ascoltandoci. E chi se n’è importato se tornavamo a casa con mezza pagina scritta?
Ci siamo arrabbiati ferocemente per le attenzioni distratte che ci fanno perdere il filo.
Ci siamo anche consolati con piccoli progressi…ma non erano quelli veri.
Ci siamo imbattuti spesso con le pigrizie mentali, perché nuotiamo e nuoteremo ancora nel mondo del tutto e subito.
Però possiamo dire forte che non ci siamo arresi.
Chissà perché in certi momenti in cui si apriva la voragine nello stomaco mio e dei bambini per il timore di non riuscire, non ci siamo arresi?
Non ci siamo arresi alla ripetitività di un esercizio imparato a memoria o ad un problema risolto col “tiro a freccette”. Non ci siamo mai arresi al “basta che sai come si fa e se non lo capisci fino alle radici non importa”.
Quella non è la nostra scuola.
Anche chi l’anno scorso tirava il freno dell’insicurezza ora è lì, a scrivere la sua traccia di ragionamento, con un viso leggermente adombrato dalla concentrazione e, d’un tratto, disteso.
Quest’anno fioriscono schemi e disegni che, passando dietro silenziosa, mi danno un brivido di felicità, perché sono utili, veri, sensati e personali. Ho vinto la prima battaglia sul “tiro a freccette” delle operazioni per risolvere un problema.
La divisione a due cifre è una parete da scalare, ma hanno “mani, corde e moschettoni”, e ce la fanno.
Alla faccia di tutta la superficialità con cui combattiamo, quest’anno escono dallo sfondo e diventano “scolasticamente tridimensionali” : il capire e il fare rappresentano un traguardo personale desiderato e non imposto dall’esterno. Ognuno a modo suo e con la sua valigia di risorse.
Non siamo arrivati in cima ed è bello far capire loro che non ci arriveranno mai: il sapere e il saper fare non hanno un limite, ma chi ha l’esigenza di conoscere e migliorarsi va comunque e sempre in alto.
E nelle nostre classi “non 2.0” quanto ancora lavoreremo, ci arrabbieremo e continueremo, nei nostri progressi, a capire quanto è impossibile fare scuola senza capire!
Progresso non è sinonimo di “‘arrivo”, ma “passo”. Lo hanno fatto. E siamo pronti per il prossimo. Confucio diceva “Non importa se vai avanti piano, l’importante è che non ti fermi”.
Sono una maestra fondamentalmente felice, che vi devo dire?